Aperto con “Green Border” il cartellone del Tertio Millennio Film Fest
La masterclass della regista Holland al “Nuovo Olimpia”. «Il tema dell’immigrazione mi è sempre stato caro». La storia dei migranti al confine tra Bielorussia e Polonia
Si è aperta ieri sera, 14 novembre, alla presenza della regista polacca Agnieszka Holland, la XXVII edizione del Tertio Millennio Film Fest. La manifestazione andrà avanti fino al 18 novembre al Cinema Nuovo Olimpia di Roma, con eventi speciali e lungometraggi in concorso legati dal tema “L’armonia delle differenze”, da un’espressione usata da Papa Francesco durante l’udienza per i 75 anni di lavoro dell’Ente dello spettacolo. Ad aprire il cartellone, proprio l’ultimo film di Agnieszka Holland, Green Border, vincitore a Venezia 80 del Premio speciale della giuria e proiettato – come evento di preapertura del Tertio Millennio Film Fest – il 13 novembre alla Filmoteca Vaticana. Sul film, che denuncia le ingiustizie e le sofferenze vissute al confine tra Bielorussia e Polonia da migranti di diversi Paesi, ha tenuto una masterclass la regista stessa prima della proiezione, nell’ambito del format “Cinematografo Incontra”.
«Il tema dell’immigrazione mi è sempre stato caro – ha esordito -. Io stessa sono stata un’emigrante politica». Ha poi inquadrato la nascita di Green Border dall’«onda di grande emigrazione dalla Siria del 2015», con «l’Europa impaurita» e i «dittatori populisti intorno che sentivano questa paura». L’Unione Europea, «per risollevare i paesi maggiormente colpiti come Italia e Grecia», ha voluto la «ricollocazione» dei migranti e in Polonia «il partito che combatteva per vincere le elezioni ne ha fatto il suo tema principale», usando la «retorica» delle «malattie, infezioni o degenerazioni nella società» portate dai migranti. Da lì la decisione della regista: «Mi è sembrato tutto così assurdo che dovevo fare qualcosa».
Quella raccontata dal film non è la rotta del «Mediterraneo in cui la gente affonda e muore», ma la storia di persone, spesso «nuclei familiari», costrette al dolore «in una zona di confine formata da una foresta» dove la «polizia di confine bielorussa ributtava i rifugiati oltre il confine in Polonia, e non permetteva che tornassero indietro altrimenti li torturava» e dall’altra parte, «uno spazio chiuso» senza che «nessuno vi potesse entrare: né organizzazioni umanitarie, né medici, né giornalisti». Un «assurdo teatro della crudeltà tra la parti», lo definisce Holland, che perciò, quando le «è stato chiaro che le persone coinvolte in questa tragedia non avevano diritto di parola», ha deciso «di fare quello che so fare, e ho realizzato un film a soggetto, di finzione», con una sceneggiatura «basata sulle conversazioni con gli attivisti, con i rifugiati incontrati, sui reportage e sui viaggi per parlare con i locali».
La regista ha chiesto «aiuto a chi sosteneva questa idea», tra cui «due giovani registe». Non allo Stato, perché «non avremmo ricevuto niente, anzi ci avrebbero ostacolato nel lavoro». Le riprese sono durate 24 giorni: «Avevamo poco tempo e pochi soldi»; da qui «l’idea di girare parallelamente», visto che «il film è basato su diversi punti di vista e si potevano dividere gli attori. Abbiamo scelto luoghi vicini per poterci riunire e consultare».
Prima dell’incontro, don Davide Milani, presidente dell’Ente dello spettacolo, ha definito Green Border «una drammatica testimonianza che ci chiama in causa, che ci chiede di prendere una posizione davanti alla realtà della migrazione», mentre al termine della masterclass, la regista ha ricevuto il premio Fuoricampo assegnato «dai tre festival cattolici di cinema in Italia», ha specificato il condirettore Gianluca Arnone: il Tertio Millennio, Popoli e Religioni di Terni e Religion Today di Trento. Proprio la presidente di quest’ultimo, Lisa Martelli, ha letto la motivazione del premio assegnato ad Agnieszka Holland: «Attraverso un bianco e nero abbacinante, Green Border ci porta sul confine polacco bielorusso per evidenziare il fallimento di una comunità, farci immergere nella tragedia di un popolo, denunciare lo scambio di persone usate come proiettili viventi. Nei quattro capitoli e un epilogo, Agnieszka Holland segue i destini di una famiglia di rifugiati siriani, un’insegnante ucraina, una giovane guardia di frontiera e una psicoterapeuta. Ci apre gli occhi su una realtà che per ignavia e opportunismi abbiamo voluto ignorare. Il suo è un capolavoro umanista e umanitario, un grido, un monito che crede fermamente che il cinema possa smuovere le coscienze e cambiare lo stato delle cose».
Ricevuto il premio, la regista ha così concluso: «Quello che hanno passato i rifugiati attraverso il calvario del loro viaggio, l’abbiamo ascoltato dalle loro parole. Ci hanno detto che su questo confine non c’è più umanità, ma gli attivisti l’hanno riportata. Li hanno salvati e salvando loro hanno salvato noi tutti. Sia i rifugiati che gli attivisti hanno una voce molto forte nel nuovo governo polacco. Con questa speranza vi lascio e vi ringrazio».
15 novembre 2023