Chiara Corbella, «mietere i frutti» a due anni dalla morte

Messa al Nuovo Santuario del Divino Amore per la mamma romana morta di cancro per salvaguardare il corso della gravidanza. Padre D’Amato: «Oggi ricordiamo una sposa appassionata» di Daniele Piccini

Non c’è mestizia nel ricordo dei due anni dalla morte di Chiara Corbella Petrillo, ragazza romana scomparsa il 13 giugno 2012, a 28 anni, a causa di un tumore non curato per salvaguardare il corso della sua gravidanza. La Messa per “fare memoria” di lei, celebrata venerdì pomeriggio, 13 giugno, nel nuovo Santuario del Divino Amore, è stata la festa della vita. Ravvivata dai gridolini dei bambini, in una chiesa intasata di passeggini e decorata di biberon. Animata dalle corse, lungo l’abside, del figlio Francesco, due anni e quattordici giorni di vitalità e di grazia. Partecipata da tanti giovani che hanno conosciuto, letto, sentito parlare di lei. Musicata dalla chitarra di papà Enrico e attraversata dalle parole del padre spirituale di Chiara, padre Vito D’Amato, che ha presieduto la celebrazione insieme ad una ventina di sacerdoti venuti, per l’occasione, da tutta Italia.

Un giorno di mietitura di frutti, non di nostalgia e bruciore per una ferita aperta. «Oggi è il giorno della memoria – ha detto padre D’Amato nell’omelia – per ricordare le cose meravigliose che sono successe nella vita di Chiara ed Enrico e attraverso di loro. Il Vangelo di oggi (Mt 5, 27-32) parla dei cuori impuri che desiderano commettere adulterio, desiderano la donna e la vita di un altro. Invece il Signore ha reso il cuore di Chiara puro. È morta il 13 giugno e i suoi funerali sono stati celebrati il 16 giugno 2012, giorno del Cuore immacolato di Maria». Identica l’esperienza di Chiara e quella della Vergine. «Dentro il cuore della Vergine Maria – ha proseguito il francescano – c’era soltanto fiducia, non quel dubbio che Dio in fondo non sia così buono. Maria ha reso il cuore di Chiara puro come il suo, attraverso la sofferenza. Lei si fidava che quella sofferenza era per il suo bene e che Dio non era cambiato. Si è buttata nella volontà di Dio e ha fatto esperienza che era così: Dio è buono. Nelle sofferenze Chiara vedeva una bellezza, e le ha accolte. Tutto questo ha reso Chiara una donna e una sposa appassionata». L’autentica passione non consiste nell’adulterio, ma nella fedeltà e nella fecondità. «Chiara era una sposa appassionata che non desiderava altro che il suo sposo. Pronta a morire per ciò che aveva, il suo Enrico. Nei suoi ultimi giorni, scrivendo alla sua ginecologa, temeva solo “di non essere abbastanza grata al Signore per tutti i doni che le aveva dato”. È meraviglioso vivere così, per questo ci piace. Chiara non è morta per Francesco, è morta perché voleva dare la sua vita a Francesco. La sua vita le piaceva così tanto che voleva donarla. Chiara – ha concluso padre D’Amato – ci fa venire voglia di diventare santi».

È questo che riempie il nuovo Santuario del Divino amore di tanti ragazzi e tante famiglie. «I giovani – dice Enrico Petrillo, 35 anni, vedovo di Chiara, fisioterapista all’Hospice Fondazione Roma – trovano in Chiara una ragazza che ha realizzato pienamente la sua vocazione come sposa, madre e come donna, quindi è un esempio per tanti. E poi per il fatto che ha accettato tutto quello che è accaduto nella sua storia: questo fa sentire accolti gli altri. Francesco sa che mamma Chiara era una mamma speciale per tanti. Sa dove è in questo momento, ne parliamo spesso. Lui a volte manifesta un po’ di nostalgia, ma lo vedo un bimbo molto sereno e felice».

Una felicità di una specie rara, ereditata dalla mamma. «Quello che Chiara testimonia – spiega Daniela Salernitano, 37 anni, 4 figli, ginecologa al Fatebenefratelli, che ha seguito le tre gravidanze di Chiara – è che si può essere felici in tutte le condizioni della vita. Per esempio in occasione della gravidanza del secondo figlio, Davide Giovanni. Chiara aveva paura perché eravamo al nono mese, il bimbo cresceva tanto e aveva il sederino basso. Tutto ciò poteva complicare il parto. Non sapendo quali malformazioni avesse, avrebbe potuto morire in pancia, creando delle infezioni a Chiara. Chiara però non ha mai scelto nell’urgenza della paura, ma fidandosi».

Al termine della Messa un video sul matrimonio (21 settembre 2008) e sul funerale di Chiara (16 giugno 2012) e le testimonianze di persone che hanno mosso i loro «piccoli passi possibili» seguendo il suo esempio. Come Amerigo e la moglie Giulia, sposati da tre anni e mezzo, con la figlia Chiara. All’inizio del loro matrimonio hanno vissuto un periodo non facile: nei primi tre mesi Amerigo perde il padre, Giulia rimane in cinta subito, ma perdono il bambino. Va male anche la seconda gravidanza. «Ci siamo sentiti impreparati a vivere questa Croce – raccontano insieme – e abbiamo conosciuto la vicenda di Chiara e abbiamo partecipato al suo funerale, che sembrava il matrimonio di Chiara con il suo sposo, Dio. Siamo stati fortificati da questa esperienza. Chiara ci ha insegnato a ripartire dalla morte e risurrezione di Cristo, e il desiderio di santità. Il desiderio della vita deve essere sostenuto dalla preghiera. Dopo qualche mese – conclude Amerigo – Giulia è rimasta in cinta».

16 giugno 2014

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