Cristiani in India: identità e annuncio

Il racconto del vescovo ausiliare Enzo Dieci, reduce da un viaggio nella megalopoli Mumbai, tra un lebbrosario e gli slums di Angelo Zema

Il viso di un lebbroso privo degli arti, tra le sue mani. Un volto che, per quel contatto, si illumina. Con un sorriso. E tre parole, a fatica, «Oh my God», «O mio Dio». È stato segnato anche da momenti come questo, dove la croce si fonde con la speranza, il viaggio del vescovo Enzo Dieci in India, concluso pochi giorni fa. Il presule, che in diocesi guida il Centro per la cooperazione missionaria tra le Chiese, è andato nel cuore del grande Paese asiatico, trascorrendo due settimane a Mumbai (chiamata fino al 1996 con il nome anglicizzato di Bombay), tra un lebbrosario, affidato alle Suore dell’Immacolata, e agli “slums”, i sobborghi della città che sorge sulla costa centro-occidentale dell’India. Portando la presenza e il sostegno della diocesi di Roma in una megalopoli che supera i 12 milioni di abitanti (oltre 17 con l’area metropolitana), con l’80% di hindu, il 14% di musulmani, appena il 3% di cristiani.

Megalopoli di grandi contraddizioni. Dove al fascino del cinema di Bollywood, alla passione del cricket sulle aree erbose durante il fine settimana, agli autobus rossi a due piani, si affianca la più grande baraccopoli dell’Asia, le gabbie del quartiere a luci rosse, degrado e povertà difficili da immaginare in Occidente. Dove i malati di lebbra – che oggi la Chiesa ricorda con l’annuale giornata mondiale invitando ad una comune sensibilizzazione – sono ancora emarginati. «Non si curano, si nascondono – afferma monsignor Dieci -. Si rivolgono tardi al lebbrosario, quando gli arti sono ormai lesi. Non si lamentano». Due religiose italiane, suor Bertilla, bergamasca, che opera lì da oltre 35 anni, e suor Lucia, sarda, insieme ad altre consorelle indiane, sono impegnate accanto ai malati, non solo di lebbra, ma anche di tubercolosi. È la loro via per «portare la buona novella dell’Amore»: così hanno confidato in un breve testo lasciato al vescovo ausiliare per Roma sette. Un impegno difficile, in un contesto multireligioso, ma che porta frutti insperati, come sono quelli dello Spirito. Ecco allora una giovanissima, su un letto del lebbrosario, chiedere il Battesimo a monsignor Dieci, ricevere da lui una piccola croce, e riporla con cura nel suo quaderno delle preghiere. «È incredibile vedere questi cuori che portano dentro Gesù – – sottolinea il vescovo -. Il protagonista è lo Spirito Santo, che precede tutti i missionari del mondo. E non bisogna avere paura dell’annuncio».

Certo, «dialogo e rispetto sono importantissimi», aggiungono le religiose italiane. «Inoltre, per annunciare la gioiosa notizia del Vangelo è innanzitutto importante essere gioiosi noi stessi, affermare la nostra originalità di credenti ed essere capaci di dialogo e di rispetto nell’esporre la nostra coerenza alla fede». Compito fondamentale, in un contesto come quello, puntualizza il vescovo Dieci, è appunto «avere chiara la propria identità cristiana e manifestarla, e raccontare la propria esperienza, ma in primo luogo conoscere la realtà in cui si opera per apprezzare i valori positivi che in essa emergono. Si osserva infatti una grande ricerca di un rapporto con l’assoluto».

29 gennaio 2006

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