Gianmaria Testa, il cantautore della radici profonde
Non ama le apparizioni in tv ma preferisce il contatto diretto con il pubblico, durante i numerosi concerti che fa ogni anno in giro per il mondo: si racconta l’autore di “Solo-dal vivo” di Concita De Simone
Che nessuno fosse profeta in patria l’avevano già capito gli antichi romani. Succede anche ai tempi nostri: Gianmaria Testa, uno dei più importanti cantautori italiani di oggi, classe 1958, è italiano, vive nelle Langhe in Piemonte, ma c’è voluta la Francia per scoprirlo. Non bastò un Premio Recanati vinto nel 1993 e poi, di nuovo, l’anno dopo, per farlo restare. Da allora si è fatto apprezzare in sei dischi, più di 1500 concerti in Francia, Italia, Germania, Austria, Belgio, Canada, Stati Uniti, Portagallo, quattro serate tutte esaurite all’Olympia e tanti articoli omaggianti sui principali giornali (“Le Monde” in testa). Ai musicisti italiani però, il suo talento non era sfuggito, e così ecco nel suo curriculum moltissime collaborazioni: Gabriele Mirabassi, Enzo Pietropaoli, Paolo Fresu, Rita Marcotulli, Riccardo Tesi, Enrico Rava, Stefano Bollani, Battista Lena, fino alle esperienze teatrali con Erri De Luca e Marco Paolini.
Gianmaria Testa, cantautore-poeta delle cose semplici, è uno di quei personaggi schivi che non ama le apparizioni tv. Ma non è per snobismo; piuttosto è frutto delle sue origini di contadino che non ama le finzioni, playback compreso. Eppure è molto simpatico, comunicativo, brillante. Lo si capisce ai suoi concerti, quando lo vedi scherzare con i suoi musicisti e far sorridere la platea. Dunque, non potendolo vedere spesso in tv, Testa va ascoltato dal vivo. Magari martedì 24 marzo all’Auditorium Parco della Musica.
Sarà un concerto “Solo-dal vivo”, come ha intitolato il suo ultimo disco, il suo primo live, giunto dopo innumerevoli concerti in giro per il mondo, tanti viaggi e altrettante avventure musicali e umane. Prodotto da Paola Farinetti, che è anche sua moglie, e pubblicato lo scorso febbraio anche nel resto del mondo, il disco nasce da una speciale atmosfera che si era creata lo scorso maggio durante un suo concerto all’Auditorium che la fondazione Musica per Roma aveva registrato per il suo archivio. Il risultato è una sorta di bootleg autorizzato dal suo artista che privilegia anima ed emozione alla tecnica.
Cosa provi tu che sei un cantautore delle emozioni, a stare da solo con la chitarra sul palco?
Non ho mai l’affanno della scena. Provo una estrema sincerità. Chi viene a sentirmi, sceglie di farlo, raramente ci capita per caso. Dunque, è come parlare tra amici. Allora si deve essere sinceri. E poi, racconto solo emozioni vere, vere almeno per me. C’è una specie di rapporto uno a uno con chi viene.
In “Da questa parte del mare”, un tuo lavoro del 2006, hai trattato il tema delle migrazioni, ma anche tu sei stato un migrante…
Il mio era un viaggiare da privilegiato, io non avevo nessuno obbligo, nessuna emergenza. I migranti di oggi sono invincibili perché invincibile è la disperazione, come dice Erri De Luca. Non c’è niente che possa fermare chi ha bisogno di partire. Certo, all’inizio ho sentito uno spaesamento, anche perché da buon contadino, ho radici profonde nella mia terra.
Al tuo esordio discografico avevi 36 anni. Cosa hai fatto prima?
Ho cominciato a scrivere prestissimo. Ma, nel frattempo, ho fatto il lavoro in campagna con i miei, poi il liceo, un po’ di università, Giurisprudenza, perché volevo entrare in magistratura per cambiare il mondo. Ma poi c’è stato il militare in Sardegna che mi ha bloccato tutto. Ho fatto il lavavetri, l’audio protesista per sordi, e tanti concorsi, fino a che ho vinto quello nelle ferrovie. E ho fatto per venti anni il capostazione. All’inizio, dal ‘95, quando ho cominciato a cantare, ho mantenuto il mio lavoro, part time.Non tanto perché fare il cantautore non fosse un lavoro sicuro, quanto perché credo che se tu hai un lavoro, sei una persona libera. L’enorme ricatto di questi anni sta nel precariato, non solo dal punto di vista economico, ma, soprattutto, mentale.
Come sta la canzone d’autore italiana oggi?
Sai che non lo so. Quando sento, ad esempio, Vinicio Capossela, penso che stia bene. Ma quando sento altre cose, spengo! Sono anni dell’apparire. Da uno che fa canzone d’autore, mi aspetto cose dignitose. Invece spesso sento magari una bella voce cantare delle cose pessime.
Scriveresti, allora, per altri?
Non so se ne sarei capace, sono molto severo, permaloso. Ho la pretesa di volere che le cose siano fatte come dico io, ma so da solo che è assurdo. Nada mi ha chiesto una canzone, Fiorella Mannoia ne ha cantato una mia. Proprio oggi un uruguayano mi ha mandato un mio pezzo fatto in spagnolo e mi ha chiesto che ne pensassi. Gli ho detto che andava bene, ma non ne sono convinto.
I tuoi concerti sono organizzati dalla società di tua moglie. Visto che ne fai tantissimi all’anno, come riuscite a conciliare la vita matrimoniale con il lavoro?
Gran bella domanda, ma dovresti chiedere a lei, forse non mi vuole a casa! C’è quella solidarietà che deriva dal vivere insieme. Abbiamo anche un figlio di 3 anni e mezzo e la fatica è soprattutto di mia moglie che rimane a casa quando sono in viaggio per lavoro. Vorrei proprio andarmene presto in pensione e fare solo 20 concerti all’anno.
13 marzo 2009