Giovanni Paolo II: il dono della vita

Il postulatore della causa di beatificazione e canonizzazione, mons. Slawomir Oder, racconta il lavoro del Tribunale diocesano di Angelo Zema

Da nove mesi la sua vita è cambiata. Tempo libero, zero, o quasi. La giornata è dedicata a uno dei testimoni di santità del nostro tempo, Giovanni Paolo II. Monsignor Slawomir Oder, 45 anni, polacco, è il postulatore della causa di beatificazione e canonizzazione del Pontefice scomparso il 2 aprile 2005. Visibilmente emozionato il 28 giugno dell’anno scorso, quando nella basilica di San Giovanni in Laterano prestò giuramento insieme agli altri componenti del tribunale diocesano che si occupa della causa. Visibilmente superimpegnato oggi, in una giornata-tipo, a guidare l’esame dei testimoni, a leggere la documentazione relativa al processo, a rilasciare interviste, su uno degli eventi più seguiti dai media internazionali. E ora anche a seguire la rivista mensile “Totus tuus”, che accompagnerà l’iter del processo di beatificazione. Al terzo piano del Palazzo Lateranense, negli uffici del Vicariato, dove monsignor Oder è vicario giudiziale del Tribunale di Appello, il lavoro è sempre più intenso ma in un clima composto. Come si conviene a un impegno del genere.

Monsignore, a nove mesi dall’inizio della causa, a che punto è il vostro lavoro?
Da un lato è in corso la fase dell’inchiesta diocesana, con l’interrogatorio dei testimoni, e non solo a Roma. A Cracovia si sta svolgendo il processo rogatoriale, con l’udienza dei testimoni di lingua polacca, a cominciare dal cardinale Dziwisz, che si concluderà il 1° aprile. Anche in altre occasioni il tribunale si sposterà in altre sedi per ascoltare cardinali, vescovi, capi di Stato. Dall’altro lato prosegue il lavoro della Commissione storica, che all’inizio aveva acquisito gli scritti di Giovanni Paolo II editi; ora si occuperà della documentazione anagrafica, degli scritti inediti (manoscritti, testi di conferenze, bozze di discorsi…) e della sterminata bibliografia che riguarda Giovanni Paolo II.

Si è già parlato di un miracolo. È corretto?
No, non precisamente. È stato individuato l’oggetto di studio per il cosiddetto “procedimento super miro” (sopra il miracolo), che rappresenta il terzo filone di impegno del processo. Si riferisce al caso di una suora francese che presta servizio in un reparto maternità ed era affetta da gravi sintomi del morbo di Parkinson. Dopo la morte di Giovanni Paolo II, le consorelle avevano pregato per la sua intercessione. La religiosa ha avuto la piena remissione dai sintomi ed è tornata a svolgere la sua attività; i medici hanno definito il caso «non spiegabile».

Parliamo dell’altro impegno, il bollettino. Qual è la finalità?
Vogliamo accompagnare l’andamento della causa rendendo partecipi le tante persone che sono interessate. Ma anche farlo diventare uno strumento che mantenga viva la memoria della spiritualità di Papa Wojtyla tra le persone accomunate dall’amore per lui. Forniremo anche dei sussidi di preghiera. E intendiamo consolidare la catena di preghiera che vuole diffondere l’amore cristiano: i lettori potranno presentare le loro intenzioni e le loro testimonianze.

Com’è nata questa catena di preghiera?
È nata spontaneamente dopo l’apertura del sito della postulazione della causa. Abbiamo compreso che internet può rivelarsi uno strumento in grado di creare ponti di solidarietà, e ciò sta accadendo in tante parti del mondo. Diversa è invece l’esperienza dei gruppi di preghiera ispirati alla spiritualità di Giovanni Paolo II: finora se ne sono iscritti oltre 100.

Di recente lei è andato in Polonia: com’è nel Paese natale di Papa Wojtyla il ricordo del grande Pontefice?
L’amore è rimasto molto vivo, si può toccare con mano, direi. Negli anni del pontificato di Giovanni Paolo II l’Italia e la Polonia sono diventate sempre più vicine. Il Papa è entrato nelle nostre famiglie, con le foto, le benedizioni.

Cosa emerge maggiormente dalle testimonianze che arrivano sul sito della postulazione?
Emerge la percezione della presenza di Giovanni Paolo II nella nostra vita, come se fosse un membro della famiglia, che continua a essere amato. È il depositario di tanti problemi, speranze, inquietudini. Arrivano intenzioni di preghiera e segnalazioni di grazie.

Cosa la colpisce di più?
Innanzitutto il fatto che tante persone hanno chiesto la gioia della paternità e della maternità, e l’hanno poi ottenuta per l’intercessione di Giovanni Paolo II. Inoltre, è interessante notare che tante testimonianze giungono anche dal mondo ortodosso, protestante e da persone non cristiane.

Come vive questo impegno di postulatore della causa di beatificazione di un Papa così amato dalla gente? [b/”>
È un impegno che comporta tanto lavoro, ma lo vivo con molta gratitudine per la fiducia che mi è stata accordata. Un’avventura della vita, affascinante. Una sfida e insieme un invito a non perdere ciò che è stato insegnato da Giovanni Paolo II: la conversione verso la meta della santità.

Cosa le rimane di Giovanni Paolo II a un anno dalla morte?
La memoria viva dell’enorme carica di umanità che possedeva. Il suo interesse sincero per gli altri, il suo sguardo di benevolenza, che comprendeva l’uomo nella sua debolezza e indicava allo stesso tempo il traguardo alto, con grande fiducia. Era esigente perché pieno di fiducia nell’uomo.

26 marzo 2006

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