Humus di tenebra nel gesto di Nettuno: quando la persona diventa cosa

di Angelo Zema

«E che nnne so?». L’interrogativo rimbalza dalle televisioni all’ora di cena, l’ora dei telegiornali. Gli amici dei fermati per il gesto di Nettuno, dove un indiano è stato arso vivo e rischia di perdere la vita, non hanno nulla da dire su quel gesto. Nulla da pensare. Quelle parole sono trovate a stento. Brancolano in qualche tenebra che sta oscurando ciò che dà senso al vivere. Come i ragazzi fermati, che dalle prime dichiarazioni pare abbiano agito per noia, per “gioco”, compiendo quel gesto che, con il presidente della Repubblica, definiamo «raccapricciante». Ma è difficile trovare aggettivi, sempre di più.

Ci accorgiamo, prendendo a prestito le parole di Primo Levi in “Se questo è un uomo”, che «la nostra lingua manca di parole per esprimere questa offesa, la demolizione dell’uomo». Un uomo, in questo caso, diventato torcia, fuoco, per soddisfare l’insano desiderio di “divertirsi” di alcuni ragazzi. Sotto accusa dei ragazzi “normali”, aggettivo che spaventa ma a cui siamo sempre più abituati; aggettivo che mette in crisi certezze che non sono più tali, visto che la “normalità” sembra essere preda della cultura del nulla.

Anche gli esperti appaiono in affanno: ricorrere a “categorie psichiatriche” per spiegare il gesto di Nettuno, come abbiamo sentito, a noi sembra riduttivo, forse troppo facile, quasi un modo per scacciare quello che vorremmo fosse un brutto sogno e che invece è realtà drammatica e cronaca quasi quotidiana. Dal feroce stupro di Guidonia, che indigna giustamente i familiari delle giovani vittime tanto da spingerli a scrivere al presidente della Repubblica, all’aberrante gesto di Nettuno, con l’indiano ignaro e debole colpito dalla banalità di un male che si fatica a catalogare nei consueti schemi: ciò che li accomuna è la cosificazione” della persona umana, il non vedere l’altro che come un oggetto per il proprio passatempo, il piegare l’altro – persona con la propria dignità e i propri diritti – ad una volontà di dominio e di “piacere” ormai ai confini dei territori dell’umano.

Perché? Per chi è immerso in quell’humus di tenebra è già una fatica porsi la domanda, come abbiamo visto sgomenti nel constatare non solo l’incapacità di una risposta ma proprio lo sforzo nel trovare appena una parola. «E che nne so?».

L’appello sull’emergenza educativa, lanciato alcuni giorni fa dal cardinale Vallini a tutte le realtà educative e alle istituzioni, di fronte ai ripetuti episodi di violenza, va alle radici più profonde di questo smarrimento. La repressione, con la certezza della pena giustamente da garantire, e la prevenzione delle forze dell’ordine con l’intensificazione dei controlli sul territorio non può essere sufficiente a impedire nuovi cuori spezzati e nuove vite straziate.

Una grande opera educativa attende tutti gli uomini e le donne di buona volontà, per arginare la dilagante tendenza a erigere la libertà – che facilmente, se slegata da solidi valori che abbiano al centro l’uomo con la sua dignità, diventa arbitrio – come unico parametro di riferimento dell’esistenza. Un’opera che si prodighi a ricucire il tessuto familiare e sociale, senza la cui robustezza è difficile porre un freno a ciò che matura nell’humus della tenebra.

È un impegno che rischia di sembrare impari dinanzi alla banalità del male che infligge sofferenze atroci a persone innocenti, ma che si rivela urgente e indispensabile per tornare a dare senso alla vita, alla vita di ogni persona. Solo la pazienza del bene potrà squarciare la tenebra dell’insipienza e dello smarrimento interiore.

3 febbraio 2009

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