I classici/Assassinio nella cattedrale

L’opera teatrale di Thomas Stearn Eliot fu rappresentata per la prima volta nella cattedrale di Canterbury nel 1935 di Andrea Monda

Novanta anni fa, neanche trentenne, Thomas Stearn Eliot, nato a St. Louis nel Missouri nel 1888, si trasferì definitivamente in Inghilterra, terra dei suoi avi, e pronunciò la sua celebre dichiarazione di fede: classico in letteratura, monarchico in politica, anglocattolico in religione. E classico, in tutti i sensi (migliori) possibili, all’interno della sua varia e vasta produzione, è il suo capolavoro teatrale “Assassinio nella cattedrale”, commissionato dal vescovo di Chichester, G.Bell, e rappresentato per la prima volta nel 1935, con strepitoso successo, alla Chapter House della cattedrale di Canterbury, luogo del martirio di San Tommaso Becket, ucciso nel 1170 da quattro cavalieri istigati dal re Enrico II, una volta suo grande amico.

È un momento decisivo per la storia dell’Inghilterra. «È il primo masso che si stacca dal monte della storia – ha osservato Luca Doninelli nella prefazione ad una recente edizione del dramma di Eliot – e che, con Enrico VIII, tre secoli più tardi, diventerà frana». È a dir poco sorprendente, infatti, il parallelismo della storia di Thomas Becket con quella di Tommaso Moro, anch’egli grande amico del sovrano che poi diventerà il responsabile del suo assassinio e anch’egli canonizzato dalla Chiesa cattolica e, di recente, proclamato da Giovanni Paolo II patrono dei politici.

Dramma politico di straziante intensità nella storia di Inghilterra, la vicenda di Becket (come quella di Moro) si staglia come paradigma universale dell’affermazione della libertà di coscienza che trova nella libertà di culto la sua radice più profonda e feconda. Ma c’è di più: il dramma di Becket è il dramma di ogni cattolico che in ogni epoca si trova ad essere cittadino del mondo e al tempo stesso figlio della Chiesa, che lo stesso Eliot ha definito con, efficace espressione, “La Straniera”. In questo senso è davvero felice l’intuizione di Doninelli che – citando il verso «Ogni giorno è il giorno in cui temere e sperare./ Ogni momento è decisivo come un altro» e accostandolo a quest’altro: «Anche adesso/ attraverso sordidi particolari./ Ci può essere svelato l’eterno disegno» – sottolinea come alla base dell’opera teatrale non c’è l’intenzione dell’autore di «commuoverci con la storia del martirio di Tommaso Becket, ma di dirci che ogni istante della nostra vita è uguale a quell’istante, che ciò che condusse alla morte e alla glorificazione di Tommaso Becket è uguale in ogni istante della vita di ogni cristiano del mondo, perché in ogni istante ogni cristiano gioca la stessa partita».

Eliot si mette in gioco con tutto se stesso ed è per questo che non realizza una mera rievocazione, magari suggestiva, di un lontano episodio storico della sua antica patria, ma apre, squaderna il suo cuore e, così facendo, tocca il cuore di ogni spettatore e lettore, di ogni nazione o generazione. La forza di questo dramma teatrale, come ha affermato con la solita precisione padre Ferdinando Castelli, sta tutta nella sua «ambientazione interiore»: il vero dramma si svolge infatti tutto nella coscienza di Becket, che, presagendo la sua morte, deve sostenere la grande tentazione dell’orgoglio: l’orgoglio della santità e della stessa gloria del martirio.

Il tono, rituale, liturgico dell’opera (soprattutto nella parte riservata agli interventi del Coro delle donne), non distoglie l’attenzione da quei “sordidi particolari”, ad indicare quella concretezza tutta cristiana, perché è proprio nelle pieghe, anche minime, della storia, che si riflette e si svela “l’eterno disegno”, perché la storia degli uomini non è abbandonata a se stessa ma accompagnata dalla misteriosa e paradossale misericordia di Dio. Come dimostra la tragica ma fulgida storia di Tommaso, vescovo di Canterbury.

14 febbraio 2007

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