Il Natale di Riccardo Cocciante
Il cantante italo francese, autore di 20 album in Italia e oltre 40 nel mondo, racconta il suo desiderio di emozionare di Concita De Simone
Era dal 2000 che Riccardo Cocciante mancava dal Vaticano. All’epoca lo invitò papa Giovanni Paolo, II, per la seconda volta, a interpretare in Sala Nervi la sua «Ave Maria Pagana», in occasione del Giubileo dei malati. Stavolta, nella stessa aula, il cantautore italo francese (nato a Saigon, in Vietnam, nel 1946) è tornato per il Tredicesimo «Concerto di Natale in Vaticano», e si è esibito con due canzoni tratte dal suo ultimo album intitolato «Songs», unico nel suo genere perché raccoglie pezzi in italiano, in francese, in inglese e in spagnolo, con lo scopo dichiarato di dare un’idea di come sia lo stesso interprete quando si esibisce in paesi differenti. Ed era dal 1997, anno di pubblicazione di una raccolta dei suoi successi, che Cocciante non tornava alla “canzone”. In questi anni infatti si era dedicato completamente ai suoi progetti di opere rock, come il grande successo internazionale «Notre dame de Paris», la cui colonna sonora è stata pubblicata in italiano solo nel 2002, e «Giulietta e Romeo», a cui sta lavorando attualmente.
Tipo originale Cocciante. All’apparenza timido e riservato, sempre stretto nelle sue spalle ma con lo sguardo molto vispo. A un rapido calcolo, ha pubblicato, con quest’ultimo, 20 album in Italia ma oltre 40 in tutto il mondo. Filo conduttore: il costante desiderio di emozionare ed emozionarsi con la musica, come racconta in questa intervista.
La musica è certamente un linguaggio universale e le tue esperienze artistiche ti portano ad annunciarlo in giro per il mondo. Qual è il tuo messaggio personale per veicolare anche messaggi forti?
È vero, è un linguaggio universale e lo ribadisco in questo disco dove utilizzo diverse lingue e tutte le canzoni si comprendono attraverso la musica. Questo tipo di musica è detta leggera ma entra nel cuore delle persone perché è intrisa di messaggi che la rendono condivisibile da parte di chi la ascolta. L’ho capito con l’esperienza dell’opera rock che la musica ha bisogno di essere suonata senza artifici elettronici perché è già bella così. E ha il potere di legare le persone, di aggregarle e renderle unite. Con il mio ultimo album c’è anche un dvd con un filmato di 50 minuti, nel quale racconto com’è nato questo nuovo «Songs» e mostro la vita in comune con i musicisti quando ci esibiamo in diversi paesi, a dimostrazione che possono cambiare le abitudini, i ritmi, ma con la musica ci si capisce sempre.
Come vive il Natale un artista come te, sempre in giro per il mondo?
Non solo sono spesso in viaggio per lavoro, ma poi adesso vivo in Irlanda, a Dublino, con mia moglie Chaterine (sono sposati da 22 anni, ndr) e mio figlio David, di 15 anni. Però a Natale sono ormai diversi anni che torniamo in Italia e ci raduniamo con tutta la famiglia. È una tradizione irrinunciabile. Ho scelto l’Irlanda perché volevo condurre un vita il più possibile tranquilla, come una persona qualsiasi, senza essere riconosciuto. Soprattutto quando sono fuori dalle scene, mi sento una persona normale. Anche in famiglia non mi piace affatto essere al centro dell’attenzione. Lì ognuno deve essere protagonista.
A proposito di Natale e famiglia, oltre a comprare i regali, c’è una preparazione interiore?
Non sono molto praticante, anche per la vita che conduco, ma sono profondamente credente e penso che tutto quello che sono in grado di creare con la mia arte, così come capita a tutti gli artisti, sia un dono divino. Ci vorrebbe maggiore coerenza. Io critico il “Natale pagano”, che ci fa dimenticare il motivo per cui ci riuniamo. L’immagine del Natale felice è quella con l’albero pieno di regali. In famiglia noi siamo per il minimo e preferiamo la sobrietà agli sfarzi. Tutti dovremmo cercare di vivere il Natale più profondamente. Ho conosciuto tanti posti e tante persone e questo mi dà la sensibilità per accorgermi di quanta miseria ci sia. Dovremmo riflettere di più sulla povertà, sulle persone bisognose. Ma la riflessione non deve essere occasionale, deve corrispondere a uno stile, una scelta di vita. Invece, purtroppo, accade che la routine della vita a cui siamo abituati ci faccia dimenticare queste cose. Stiamo andando sempre più tragicamente verso un Natale pagano che non dura solo un giorno.
Penso ai poveri, ma anche ai malati. Ricordo la mia esibizione il 12 febbraio del 2000 alla «Festa della Speranza e della Gioia», lo spettacolo organizzato nell’Aula Paolo VI a conclusione del Giubileo dei Malati e degli operatori sanitari. Conservo nel cuore tutte le esperienze che faccio. E questa è una di quelle che mi ha toccato particolarmente. Così ho voluto che per il prossimo spettacolo che porterò in scena, «Giulietta e Romeo», a partire dal 1° giugno 2007 fino al 2015, da ogni biglietto venduto venga detratto un euro da devolvere all’Associazione italiana per la ricerca sul cancro, che proprio nel 2015 compirà 50 anni.
17 dicembre 2005