Il Papa sulla Shoah: «Mai sia negata»

La commossa sosta di Benedetto XVI al Memoriale dell’Olocausto degli ebrei e l’incontro con i sopravvissuti. «Non vanno sminuite, né dimenticate quelle sofferenze» di Salvatore Mazza (Avvenire)

Uno di quei luoghi in cui resti come sospeso. Che ti pesano addosso e tolgono il fiato. Anche se ci entrassi ogni giorno, tutti i giorni. Uno di questi luoghi in cui davvero è difficile comprendere le misteriose e imperscrutabili vie del Signore. L’inglese scheggiato con cui pronuncia il suo discorso rivela il peso che anche il Papa si sente addosso, il suo fiato corto. Un’emozione infinita. «So che lei è nato in Germania, ma per me lei è un essere umano come me, la ringrazio di essere qui» , gli dice Ed Mosberg, l’ultimo dei sopravvissuti all’Olocausto cui stringe la mano. Forse ha letto tutto di quell’emozione, nei suoi occhi commossi. Il Papa gli stringe a lungo le mani, mormorando qualcosa che nessuno raccoglie.

Allo Yad Vashem, il memoriale della Shoah, Benedetto XVI entra nel suo primo pomeriggio a Gerusalemme. Al suo arrivo in Israele, e dopo nella visita al presidente Shimon Peres, che adesso lo accompagna nella Sala della rimembranza, ha già detto tutto quel che sentiva di dover dire. E quello che i suoi ospiti si aspettavano di udire. Qui, al mausoleo, onora le vittime. I loro nomi che non devono « perire mai» , e le cui sofferenze non dovranno «mai essere negate, sminuite, dimenticate».

E in questo, quei nomi, sembra chiamarli a uno a uno, interminabile processione di dolore generati da un odio nero come la pietra del pavimento su cui sono scolpiti i mostri da quell’odio generati, che quei nomi hanno divorato: Babi Yar, Ponery, Transnistria, Westerbork, Ravensbrueck, Buchenvald, Dachau, Therensienstadt, Stutthof, Klooga, Sobibor, Treblinka, Belzes, Chelmno, Auschwitz, Bergen-Belsen, Janoswska, Majdanek, Mathausen, Jasenovac, Drancy, Breendonck. Mostri che hanno schiantato vite, sogni, speranze, attese. Ma, ricorda il Papa, non sono riusciti a cancellare quei nomi che «custoditi in questo venerato monumento avranno per sempre un posto sacro fra gli innumerevoli discendenti di Abraham».

Comincia in ritardo, la cerimonia allo Yad Vashem. E accumulerà altro ritardo. Il Papa non se ne cura. Dopo aver deposto i suoi fiori bianchi e gialli, si sofferma a salutare sei sopravvissuti e un “giusto delle nazioni”: Ivan Vranetic, che salvò un gruppo di ebrei in Croazia, Israela Hargil, salvata da una famiglia di cattolici polacchi, Avraham Ashkenazi, aiutato dai greci ortodossi, Gita Calderon, sopravvissuta al campo di sterminio, Dan Landsberg, nascosto a tre anni sotto la gonna di suor Gertruda mentre lei accompagnava i nazisti che perquisivano il convento alla ricerca di bambini ebrei, Ruth Blondy, scampata a Bergen-Belsen, ed Edward Mosberg.

«Cari amici – termina il suo discorso – sono profondamente grato a Dio e a voi per l’opportunità che mi è stata data di sostare qui in silenzio: un silenzio per ricordare, un silenzio per sperare». La voce, adesso, appena si sente.

12 maggio 2009

Potrebbe piacerti anche