In preghiera per il Kenya e la Nigeria

Nella basilica di Santa Maria in Trastevere la veglia promossa dalla Comunità di Sant’Egidio dopo gli attentati del 29 aprile contro le comunità cristiane, presieduta dal vescovo Matteo Zuppi di Maria Elena Rosati

Ventuno morti, oltre trenta feriti: sono le cifre che raccontano gli ennesimi attacchi contro i cristiani, verificatisi in Nigeria e in Kenya lo scorso 29 aprile. Una scia di attentati, rivendicati dall’organizzazione terrorista di matrice islamica Boko Haram; un’esplosione di violenza che ha colpito gruppi di fedeli riuniti in preghiera o per la Messa domenicale nelle città di Kano, Maiduguri, e Nairobi. La Comunità di Sant’Egidio lo scorso 3 maggio ha voluto ricordare le vittime di queste stragi con una veglia di preghiera presieduta da monsignor Matteo Zuppi, vescovo ausiliare per il settore centro.

Nella chiesa di Santa Maria in Trastevere, che ogni sera ospita la preghiera della Comunità, sono risuonate le parole della liturgia della Santa Croce, che collega le sofferenze di Cristo a quelle dei martiri. Nel Vangelo, il racconto della donna afflitta da emorragia e salvata dalla fede in Gesù, ha richiamato l’immagine di «mamma Africa», ferita di nuovo in Nigeria e Kenya, e già duramente colpita in Somalia. Un dolore che non può lasciare indifferenti, una violenza radicata negli anni, di fronte alla quale non si può restare in silenzio.«Spesso lasciamo la sofferenza senza volto e senza nome – ha detto il vescovo Zuppi – ma in ogni dolore c’è una richiesta di aiuto, che ci chiama a fare nostra la passione dell’altro». Dure le parole verso i responsabili, che fanno coincidere il terrore con la fede, operando nell’ignoranza, e che, aprendo lo spazio alla violenza, alimentano l’odio tra i popoli.

Il dialogo, però, deve continuare: «I musulmani non vogliono ciò che sta accadendo. Dobbiamo combattere chi lavora per creare divisioni», ha sottolineato monsignor Zuppi, citando la dichiarazione di monsignor Ignatius Kaigama, arcivescovo di Jos e presidente della Conferenza episcopale nigeriana. Di fronte agli attentati deve crescere la risposta delle autorità civili e della comunità internazionale; allo stesso modo, per superare le divisioni e l’istinto all’odio, è necessario abbracciare l’indicazione evangelica di amare il proprio nemico. Un lavoro per il dialogo e la solidarietà, che trae origine dalla preghiera, vera «energia spirituale che interrompe l’emorragia e ridà vita all’Africa», ha sottolineato ancora il vescovo. Nella consapevolezza che la pace che chiediamo «dobbiamo innanzitutto sceglierla e iniziarla nella vita – ha aggiunto -, abbattendo il muro di indifferenza, e l’abitudine alle sofferenze degli altri». Le preghiere dei fedeli sono state tutte per i cristiani della Nigeria e del Kenya, chiamati fratelli e sorelle: perché non si arrendano nella fede, perché siano liberati dall’istinto dell’odio, perché abbiano il coraggio per proseguire il cammino del dialogo e della collaborazione, garanzia per la pace.

Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio, ha espresso dolore e vicinanza alla popolazione africana: «Siamo riuniti qui – ha detto – per confermare che la fede è l’unico sostegno di fronte alla violenza, e che la preghiera è il mezzo che ci guida per costruire il futuro dei nostri Paesi». Fede e preghiera, legate a solidarietà e collaborazione: ecco le parole che declinano l’avvenire dell’Africa. «Queste terre hanno bisogno di unità per crescere e svilupparsi – ha sottolineato Luca Riccardi, membro della Comunità -. Abbiamo avviato un dialogo capillare con i rappresentanti dell’Islam: molti hanno manifestato la volontà di lavorare con i cristiani, per il bene del popolo africano». Uno spiraglio di speranza, un seme di quella pace che fiorisce nel sacrificio:«Gesù Cristo è stato ucciso – ha concluso Riccardi -: dal suo sangue e da quello dei martiri impariamo a costruire e a lavorare per la pace».

4 maggio 2012

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