Intervista a Enrico Ruggeri, presidente della Nazionale italiana cantanti

La squadra sarà sul palco dell’Auditorium Conciliazione il 19 marzo per “Tutti insieme con”, un concerto in favore della Fondazione Parco della Mistica onlus di Concita De Simone

Gianni Morandi, Enrico Ruggeri, Luca Barbarossa, Fabrizio Moro, Niccolò Fabi, Gigi D’Alessio, Neri Marcorè e Raoul Bova: non solo i cantanti e gli attori che conosciamo, ma la formazione di una squadra di calcio. Si tratta, infatti, di alcuni dei membri della Nazionale italiana cantanti (Nic) che sabato 19 marzo si ritroveranno alle 21 all’Auditorium Conciliazione per “Tutti insieme con”, concerto in favore della Fondazione Parco della Mistica Onlus. La Nazionale italiana cantanti, inoltre, compie 30 anni e questo sarà solo il primo di una serie grandi eventi che si alterneranno in tutta Italia per festeggiare l’anniversario.

Durante la serata verrà presentato il primo obiettivo raggiunto dalla Fondazione Parco della Mistica onlus – cui andrà l’intero incasso della serata (biglietti da 70 a 30 euro) – ovvero la realizzazione di una casa famiglia grazie ai fondi raccolti con la Partita del Cuore, all’interno del “Campus della Legalità e Solidarietà”, nell’area della Tenuta di Mistica collocata nella profonda periferia di Roma, tra il VII e l’VIII Municipio a ridosso del Gra.

Abbiamo intervistato il presidente della Nic, Enrico Ruggeri, classe 1957, uno dei più popolari cantautori italiani, centrocampista, entrato “nella squadra” nel 1984.

Quali sono stati i momenti più significativi di questi 30 anni?
Il primo che mi viene in mente è la Partita del Cuore di Roma, del 2000, in cui abbiamo giocato contro una squadra mista di palestinesi e israeliani, alla presenza dell’allora presidente della Repubblica Ciampi, di Shimon Peres e Yasser Arafat. Noi non gli abbiamo solo stretto la mano, ma abbiamo parlato a lungo con loro. Tra l’altro, è stato il loro ultimo incontro pubblico insieme. Per un attimo, siamo stati parte di una storia più grande di noi. Ma ricordo anche l’udienza con Giovanni Paolo II e l’incontro con il Dalai Lama. Sicuramente, poi, ci sono le volte in cui siamo stati nei luoghi del dolore, negli ospedali, dove abbiamo incontrato da vicino i veri eroi, quelli che fanno il volontariato vero. Noi facciamo solo una cosa che ci piace, giochiamo a pallone nei grandi stadi. Siamo una classe di privilegiati, e questo comporta il rischio che talvolta la soglia della tollerabilità della vita si alzi troppo, che magari ci infuriamo se la tapparella della stanza d’albergo non si chiude bene. Ogni tanto ci fa bene il contatto con la vita vera, anche a costo di prendere qualche schiaffo.

Che clima c’è tra di voi durante le partite?
Penso quello di una qualsiasi squadra di calcio. Le dinamiche, tra noi, prescindono dalla vendita dei dischi. Certo, è tacito che ci siano tra noi anche i più famosi che magari non sono tanto in forma ma che giocano per portare più gente alle partite. Ma a tavola siamo tutti uguali, lì, con la nostra tuta.

Come sarà il concerto del 19 marzo? Tu cosa canterai?
Non lo so ancora. Di certo sarò senza band, magari mi farò accompagnare da qualche amico, lo stesso Morandi o Barbarossa. Sarà un grande concerto corale.

Che senso hanno per Enrico Ruggeri questo impegni, compreso quello per “Nessuno Tocchi Caino” contro la pena di morte?
Io credo nella passibilità di mettere la fortuna che ho avuto a vantaggio di altri. Capita che i cantanti si schierino in politica per ottenere dei vantaggi. Io ho fatto sempre le battaglie che mi suggeriva la coscienza, al di sopra della politica.

Quali sono i tuoi prossimi impegni artistici?
Intanto, sono impegnato con la promozione del mio primo romanzo, “Che giorno sarà”, edito da Kowalski. Poi, da maggio, ritorno a fare concerti.

Come ti sei trovato nei panni di talent scout e di giurato a “X Factor”?
È stata un’esperienza molto intensa, si lavora tutto il giorno tutti i giorni. Ma a me piacciono la musica e la dialettica e quel programma ti permette di fare entrambe le cose. Certo, il meccanismo del gioco è un po’ perverso, siamo vittime e carnefici al tempo stesso. Ho avuto la sensazione di giocare sulla pelle delle persone. Ma, il vantaggio del talent show è che puoi farti conoscere davvero a casa. Adesso continuo ad avere rapporti con quelli della mia squadra, che mi chiamano anche per chiedere consigli. Si lavora anche per regalare qualcosa dal punto di vista umano.

11 marzo 2011

Potrebbe piacerti anche