Javier Girotto: impegno sociale a ritmo di tango
Il compositore argentino tra i protagonisti, il 17 settembre, del “Festival Buenos Aires Tango” all’Auditorium di Concita De Simone
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«Quando nel 1976 un colpo di stato militare instaurò una dittatura basata sul terrore e sulla violenza avevo poco più di 11 anni. Piccoli, grandi, terribili, eventi che hanno scolpito nella mia crescita emotiva una traccia indelebile di angoscia. E così, di nuovo, grido con alte note gli orrori della vita: grido ai carnefici per la loro follia, grido per dare voce alle vittime, quei Trentamila Cuori “Desaparecidos” che l’Argentina, terra di sconfinate praterie dai colori poetici, non avrà più». Così si legge nelle note di copertina di “Trentamila cuori”, il nuovo progetto di Javier Girotto (compositore e arrangiatore, oltre che autore di quanto sopra citato) e Aires Tango, un disco che vuole essere memoria, denuncia, ricordo.
Il gruppo, unico nel suo genere nel panorama jazz italiano, nasce nel ’94 da un’idea del sassofonista e compositore argentino Javier Girotto, che ispirandosi alle proprie radici musicali e fondendole con le modalità espressive tipiche del jazz crea un terreno musicale nuovo. Il risultato è una sorta di “tango trattato”, dalle caratteristiche spiccatamente latine per le melodie e i ritmi ma meno vincolato dai canoni del tango tradizionale – pur affondando le sue radici nella musica del grande Astor Piazzola -, e perciò terreno fertile per un’improvvisazione d’ispirazione jazz. In questo modo gli Aires, un argentino e tre italiani, giungono a una musica di notevole libertà espressiva e di grande fascino, con echi del passato e istanze musicali moderne.
Javier Girotto, classe 1965, natali a Cordoba e origini pugliesi, è cresciuto artisticamente a Roma, dove si è trasferito già dal 1990. E proprio la Capitale, in questi giorni, sta dedicando all’Argentina e al suo ballo più famoso un festival multi espressivo, che proseguirà fino al 24 settembre. Al Festival Buenos Aires Tango ci sono ballerini, concerti, recital tra i più rappresentativi della capitale argentina, oltre a corsi di ballo, workshop, mostre e una milonga all’aperto per esercitarsi.
In programma, domenica 17 settembre, “Argentina: escenas en Big Band”, con la PMJO (Parco della Musica Jazz Orchestra) e Javier Girotto, che a Romasette.it racconta i suoi ultimi progetti.
Javier, che ne pensi di questa iniziativa all’auditorium?
Ne sono lieto, perché serve a mostrare a Roma una delle culture fondamentali argentine, ovvero il tango, la musica per eccellenza di Buenos Aires.
Ma che significa per voi il tango?
Bisogna dire che c’è differenza tra il folklore argentino in generale e il tango della Capitale, che è il ballo tipico di tutta quella regione, Poi in Argentina ci sono altre 20 regioni con tradizioni differenti. Insomma, c’è una grande ricchezza musicale.
Come sarà la tua esibizione all’interno di questo festival?
Sarà la presentazione di un disco di ricerca prodotto dall’Auditorium, in cui proponiamo una particolare miscela linguistica che mette insieme lo stile argentino, dal tango al folklore, con i suoni tradizionali dell’orchestra jazz americana. È un esperimento inedito e devo dire che è molto bello ascoltare le rielaborazioni dei classici argentini con le strumentazioni della big band.
A proposito di ritmi: in Trentamila cuori, il tuo nuovo album insieme agli Aires Tango, voi riuscite a raccontare la storia attraverso la musica.
Questo album esce nel trentennale del colpo di stato militare argentino, a causa del quale sparirono nel nulla trentamila persone, i trentamila cuori, appunto, cui è intitolato. Ero piccolo all’epoca, ma pian piano ho capito la situazione soprattutto quando vedevo sparire le persone intorno a me.
Di solito nelle canzoni non si trovano contenuti forti ma voi siete riusciti a proporli utilizzando la sola musica strumentale, che dovrebbe essere più difficile.
Un po’ è merito delle note dell’album, un po’ delle voci e dei suoni che abbiamo recuperato negli archivi storici, un po’ dei titoli di cui mi sono avvalso. Io non so scrivere testi, ma mi piace lasciare spazio all’immaginazione dell’ascoltatore. Ci tenevo ad omaggiare questa vicenda perché mi ha visto direttamente coinvolto. Raccontiamo anche la crisi economica del 2001, che io ho vissuto in differita, se così posso dire, visto che avevo ancora i miei genitori lì. Ho avvertito il loro dolore nel lasciare, dopo sessant’anni, la propria terra, stremati dalla recessione.
Tu confidi nel valore terapeutico della musica?
Beh, sì, in qualche modo trovo che si possono lanciare messaggi e dare speranza. E poi, associo spesso delle tematiche importanti ai dischi, come in “Poemas”, la rilettura di grandi classici della letteratura latino-americana contemporanea, o in “Escenas Argentina”, i brani ispirati a delle foto a sfondo sociale scattate da un noto fotografo nel mio Paese. Per il prossimo lavoro, sto pensando di musicare le vicende del calcio argentino, dal punto di vista umano, cominciando dai bambini poveri che giocano per la strada.
15 settembre 2006