La fedeltà al Vangelo di monsignor Di Liegro: il libro di Laura Badaracchi

Un ritratto sul mondo interiore del sacerdote che Roma ancora ricorda con affetto. Tra le testimonianze, quella di monsignor Guerino Di Tora di Angelo Zema

Quando si parla di monsignor Luigi Di Liegro, il pensiero va subito a grandi opere di carità che fanno ormai parte della storia di questa città, e insieme a “battaglie” come l’apertura della casa per malati di Aids a Villa Glori o il sostegno agli immigrati rifugiati nell’ex pastificio Pantanella. Fatti reali, certo, costellati di difficoltà e sofferenze, in cui risalta il primato del povero, della persona vista nella sua dignità. Ma il risalto che vi si dà – basti vedere anche a quanto di recente ha proposto la tv – spesso lascia in secondo piano il mondo interiore di un sacerdote che ha dato un volto nuovo all’animazione della carità nella nostra diocesi.

A dieci anni dalla morte di don Luigi, che tutta Roma – e non solo – pianse, a cominciare dalle migliaia di poveri che lui aveva aiutato e fatto aiutare, è operazione di verità valorizzare la passione per il Vangelo e l’attenzione alla preghiera che costituivano la radice del suo impegno missionario a favore degli ultimi. Un impegno mai sganciato dall’amore per Cristo e per la sua Chiesa. «Ubi pauper, ibi Christus» era il motto scelto da don Luigi al momento di diventare sacerdote, e davanti ai poveri, come Madre Teresa e altri testimoni di carità del nostro tempo, egli si inginocchiava. «Davanti al povero – affermava – io mi inginocchio. Una società che ignora i poveri finisce per diventare una società contro i poveri». Lo faceva nel nome del messaggio evangelico «attraversato e caratterizzato – diceva – da questo elogio della misericordia e sempre con una decisa accentuazione sulla vita vissuta».

A far riscoprire il don Luigi «uomo di pensiero», innamorato del Vangelo, provvede opportunamente, alla vigilia delle celebrazioni per il decennale della morte, il libro della giornalista Laura Badaracchi, “Luigi Di Liegro. Profetà di carità e giustizia” (Paoline) condito da tante voci di chi lo ha conosciuto e ne ha condiviso l’impegno per gli ultimi. Don Luigi Di Liegro ha segnato la storia della Caritas e quella di Roma, non a caso sarà ricordato in Campidoglio con un Consiglio comunale straordinario. Il libro racconta la sua vita, dai primi passi a Gaeta, e la sua passione sconfinata per il Vangelo. Più che sulle battaglie sociali, i gesti eclatanti, l’autrice si sofferma sulle motivazioni che lo spingevano continuamente ad andare controcorrente, ad aprire, in nome del Vangelo e dei poveri, strade inedite, spesso scomode, ma cariche di forza profetica. Ne esce fuori un ritratto permeato da una forte spiritualità. «La regola – diceva don Luigi – resterà questa: penetrare il Vangelo perché questo penetri nella vita».

A firmare il volume – che si avvale della prefazione di Goffredo Fofi, critico letterario e cinematografico, collaboratore di monsignor Di Liegro – una giornalista che conobbe don Luigi durante i turni di volontariato presso la mensa di Colle Oppio e frequentando i corsi di formazione della Caritas diocesana, e che ora lavora al mensile Mondo e Missione, collaborando con diverse testate giornalistiche.

Tra le testimonianze, anche le voci di alcuni ex terroristi con cui monsignor Di Liegro aveva avviato un dialogo. E c’è anche quella del suo successore alla Caritas di Roma, monsignor Guerino Di Tora, che – coincidenza davvero singolare – lo vide per la prima volta all’età di sei anni. Era il 1953, don Luigi era viceparroco a San Leone e il piccolo Guerino abitava nel quartiere, in un palazzo con sette scale e 25 condomini. Alveari dove si rischiava l’anonimato. «Don Luigi – racconta monsignor Di Tora – lo aveva capito, restituendo invece l’identità alle persone chiamandole per nome. Si sapeva calare nella realtà».

11 ottobre 2007

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