La notte insonne dei pellegrini, tra stanchezza e aria di santità
Il cammino verso San Pietro, con le voci, i canti e la preghiera di tutti i continenti. I volontari: «Buongiorno o buonanotte, fa lo stesso». Il muro umano in via della Conciliazione di Laura Badaracchi
2.30 del mattino, domenica 27 aprile: la stazione della metro A di Arco di Travertino è deserta. Siamo in due ad aspettare l’arrivo del convoglio direzione Ottaviano. Dopo qualche minuto di attesa, ecco spuntare dalla galleria i vagoni, stracolmi come nelle ore di punta. Un tripudio di cappellini, bandiere e vociare in polacco. Fra i pellegrini, una incollata a me è originaria di Wadowice, il paese nativo di Karol Wojtyla, e si affanna a cercare una donna del suo gruppo che parli in inglese: lei continua con entusiasmo a raccontare nella sua lingua. L’interprete riesce a farsi largo, ha 61 anni con un volto da cinquantenne e da 42 vive in Canada. «Sono emigrata per lavoro con tutta la mia famiglia», dice. Appena le confido che sono stata alla Gmg del ’91 in Polonia, tira fuori dalla sua tasca una manciata di medagliette mariane con san Massimiliano Kolbe e me le regala, augurandomi un «buon pellegrinaggio». Alla fermata di Ottaviano i gruppi di polacchi sono ormai decine, guidati da sacerdoti e laici. I loro pullman sono parcheggiati al capolinea Anagnina e li attendono per ripartire dopo la Messa di canonizzazione di Giovanni Paolo II.
Ore 3 circa: in piazza Risorgimento è allestita la nursery per l’accoglienza di genitori con bambini. I volontari della Protezione civile rispondono con un sorriso “Buongiorno o buonanotte fa lo stesso”. Carabinieri e vigili del fuoco, Croce rossa e operatori dell’Ama, una schiera di persone al lavoro per garantire che il flusso dei fedeli proceda senza intoppi. L’unico varco accessibile è quello in via della Traspontina per l’ingresso in via della Conciliazione: un muro umano di cori festanti, armato solo di tanta pazienza. L’attesa sarà lunga e disagiata: quasi tre ore in piedi. Alcuni anziani si sono organizzati e si siedono su sgabelli pieghevoli. Si compie qualche passo lentissimo a intervalli di 15-20 minuti. Nel frattempo spuntano bandiere dell’Irlanda e della Spagna, del Canada e dell’Olanda. Profumo di mandarino, sbucciato da un vietnamita emigrato negli Stati Uniti: sorride come gli altri del suo gruppo, felice di esserci, mentre agita un grande ventaglio per rinfrescare i volti imperlati di sudore dallo scirocco e dall’umidità. Intonano insieme un canto tradizionale dedicato alla Madonna, nella loro lingua: melodia dolcissima. I giovani di Barcellona, assiepati accanto a loro con alcune suore giovanissime, rispondono con un inno mariano in «catalano», specifica con orgoglio una di loro; seguono in fondo alla via cori ritmati al grido di “Giovanni Paolo”. Altri pellegrini canadesi ultrasessantenni continuano con un’Ave Maria cantata, additandomi come «l’unica romana» nella folla che ci circonda.
4 del mattino, aria pesante e ancora più densa di umidità. C’è chi scruta il cielo velato con preoccupazione, sperando che la pioggia non scenda nelle prossime ore. Una famiglia trapanese, con la piccola Miriam di cinque anni, si chiede con preoccupazione: «In via della Conciliazione sarà così o almeno potremo sederci per terra?». E la figlia, che non riesce a dormire neppure sulla spalla del papà, esclama: «Voglio proprio andare a casa! Adesso!». Studenti universitari di Chieti cercano di ricompattare il loro gruppo. A destra, pende da un balcone l’immagine di Emanuela Orlandi, la quindicenne cittadina vaticana sequestrata il 22 giugno 1983; Giovanni Paolo II chiese in modo accorato la sua liberazione. Di fronte, l’opera di street-art di Mauro Pallotta, autore del murales “Super pope” dedicato a Papa Francesco in via Plauto. In occasione della canonizzazione dei due Pontefici, ha realizzato un “morphing” trascolorando dal volto di Giovanni XXIII a quello di Wojtyla, passando per Bergoglio.
Poco prima delle 6: il varco si apre e la tensione sale per l’impazienza di chi spinge. Vengo quasi catapultata in avanti e mi ritrovo davanti un tappeto di sacchi a pelo e persone accampate per la notte. Trovo un quadratino di spazio vicino alla transenna, all’altezza della chiesa della Traspontina. Al mio fianco sta pregando Josafat, messicano che studia politiche internazionali a Madrid. Grazia, Margherita, Concetta ed Elena sono arrivate da Agrigento in pullman e ripartiranno lunedì mattina: «Dovevamo esserci», rispondono in coro.
Ore 8 circa: cominciano a essere distribuiti i libretti della Messa, calca alle transenne per recuperarli. Due signore veronesi raccontano di aver viaggiato tutta la notte in pullman con un gruppo composito, partito da Bolzano e passato anche per Trento e Modena. Chiara e Raffaella, di Orsogna (Chieti), fanno parte dell’Azione cattolica giovani e sperano proprio che «Papa Francesco passi di qui per salutarlo». Renata viene da Anzio: «Il bus ha ritardato, ma dovevo esserci per forza». Ogni volta che i maxischermi proiettano le immagini dei due arazzi che raffigurano i Papi santi, boati e applausi scroscianti della folla.
Poco prima delle 10: altro applauso al momento dell’abbraccio tra il Santo Padre e Benedetto XVI. Nel corso della celebrazione, alcuni momenti di silenzio quasi surreale: dopo l’omelia, durante la consacrazione e alla benedizione finale. Insieme alla stanchezza, si respira pure aria di santità in via della Conciliazione.
28 aprile 2014