La PFM racconta “La Buona Novella” 40 anni dopo
Al Gran Teatro, un concerto in cui la Premiata Forneria Marconi proporrà il repertorio di due grandi album. Intervista a Franco Mussida, chitarra e voce del gruppo di Concita De Simone
“Laudate Dominum”, “L’infanzia di Maria”, “Via della croce”: titoli che richiamano alla memoria cattolica del Vangelo, ma anche a brani che, 40 anni fa, entrarono in classifica grazie a Fabrizio De Andrè, che con “La Buona Novella” cantò il senso dell’amore cristiano rivisitato dalle pagine dei Vangeli apocrifi. A suonare quell’album così rivoluzionario c’erano anche I Quelli, diventati poi la Premiata Forneria Marconi (PFM), che nel 2010 celebrano idealmente anche i loro 40 anni di carriera e, per l’occasione, riportano in scena al Gran Teatro di Roma venerdì 29 gennaio, il repertorio di due grandi album, “La Buona Novella ” e il loro più recente “Stati di immaginazione”.
Quarant’anni fa la poesia di Faber incontrava il rock della PFM per farne un album capolavoro, dunque. Insieme anche nei due fortunati album dal vivo del 1979 e 1980, oggi la PFM – anzi, la PFM di oggi – decide di riprendere “La Buona Novella”, rileggendo per intero tutto il disco, riarrangiandolo e rivestendolo con la sua musicalità visionaria e immaginifica, tipica del rock di cui è stata protagonista internazionale negli anni Settanta, il “progressivo”, ma con la maturità di oggi. Chi ha assistito lo scorso maggio alla loro esibizione al “Festival Biblico” di Vicenza ha già idea del risultato.
“Stati di immaginazione”, album che risale alla fine del 2006 è, invece, il punto d’incontro simultaneo tra le emozioni dell’artista e quelle del pubblico. Otto storie musicali, otto film, per entrare nello stato libero dell’immaginazione: un modo in cui chi ascolta può tornare ad essere protagonista delle proprie emozioni. Il progetto si articola in otto interpretazioni, che guidano l’ascoltatore in mondi diversi, sia come tematica di immagini, sia come atmosfere musicali. Tutte performances strumentali, tutte poesie visive, in questo caso.
La formazione della PFM oggi è data da Franz Di Cioccio (batteria percussioni e voce), Patrick Djivas (basso), Franco Mussida (chitarra, voce), Lucio Fabbri (violino, chitarra, tastiere e cori), Gianluca Tagliavini (tastiere e cori), Piero Monterisi (seconda batteria). Questo nuovo progetto è un sogno che si avvera, un regalo che PFM fa a se stessa, per completare la sfida iniziata nel 1970.
Abbiamo intervistato Franco Mussida, chitarrista, compositore e cantante, che con Franz Di Cioccio è nella PFM dai tempi de I Quelli.
Dai temi che danno speranza all’uomo dell’album di De Andrè, alla musica immaginifica di “Stati di immaginazione”: giusto 40 anni di vita potevano stare in un progetto così ampio, eppure così omogeneo.
Sono due aspetti di un’unica cosa, l’incontro di due linguaggi diversi. Fabrizio era anche immaginativo nel suo essere concettuale. Noi abbiamo riesploso tutto il contenuto emozionale della sua musica e abbiamo cercato attraverso suoni, atmosfere, armonizzazioni e ritmi diversi, di risaltarne il contenuto, di sottolinearne i passaggi del testo.
Ne “La Buona Novella” non avete solo suonato, ma siete stati una parte integrante del suono, che poi è tipico dei musicisti progressive.
Esatto, è la fotografia de “La Buona Novella” attuale. All’epoca Fabrizio era molto rigoroso, aveva in mente un’immagine molto definita del cantautore “chitarra e voce”. E noi eravamo ligi alla direzione artistica di Gian Piero Reverberi, un altro pezzo di storia della musica italiana. De Andrè aveva una straordinaria capacità di raccontare, era un cantante-narrante, con ben poche inflessioni e concessioni emozionali. Il suono serviva a posizionare gli ambienti, ad accentuarne gli elementi evocativi. L’insieme era una sintesi poetico – riflessiva, potremmo dire, che noi oggi esaltiamo con la musica, che è il linguaggio con cui ci esprimiamo meglio.
E lei si esprime in particolare con la chitarra. Sul vostro sito racconta il suo rapporto con lo strumento e mostra, nel dettaglio, tutte quelle usate.
Sì, ci tengo molto, è la mia storia. Ma penso, con dolore, soprattutto a quelle che non ho più, che mi hanno rubato. Tipo le 6 fatte sparire a Los Angeles, probabilmente da un cameriere giapponese che era nello stesso albergo per uno stage e che, guarda caso, dal giorno dopo il furto non si è fatto più vivo. O le altre 5 rubate su un camion a Milano, mentre stavamo andando in trasferta. Praticamente un patrimonio sparso nel mondo. Anzi, lancio un appello: se qualcuno ne avesse notizia…
Lei è uno dei fondatori e attuale direttore del Centro Professione Musica di Milano, una delle scuole di musica più prestigiose d’Italia che tuttora dirige. Cosa insegnate, insieme alla musica?
Noi viviamo la musica come un linguaggio privilegiato che, è di fatto, vita. Quindi tutti quelli che vengono sanno che ci si confronta innanzitutto con se stessi. Chi fa il musicista non può immaginare di fare questo mestiere senza mettersi in gioco. E cerchiamo, da insegnanti, di trasmettere un senso etico nella musica. Troppo spesso i sogni dei giovani sono utilizzati in malo modo. Noi guardiamo alla musica come sorgente da rispettare e proteggere. Attraverso la musica si può educare. E quest’anno, per il 25° anniversario, abbiamo fatto anche una partnership con il Conservatorio di Palermo.
29 gennaio 2010