La vittoria di Antonio
Il disagio mentale fa riflettere Sanremo, con il primo posto del romano Simone Cristicchi di Concita De Simone
Stavolta ha vinto veramente il migliore. Simone Cristicchi ha messo d’accordo pubblico, critica, giuria di qualità, stampa e tv e si è meritato la vittoria al 57° Festival di Sanremo, nonché, appunto, il Premio della Critica “Mia Martini” assegnato dai giornalisti della sala stampa e quello delle radio tv private. Stesso trattamento riservato, curiosamente, al vincitore della categoria Giovani, Fabrizio Moro, per la prima volta in assoluto nella storia della kermesse.
L’interprete di “Vorrei cantare come Biagio Antonacci” fin dal primo album aveva unito testi leggeri a brani più profondi. O perlomeno non il grande pubblico, perché infatti nel frattempo Cristicchi ha collezionato numerosi premi, compresa la Targa Tenco per la musica d’autore. «Ho vinto io e hanno vinto loro», ha dichiarato Cristicchi lieto anche del consenso della critica che ha premiato il suo testo poetico. In cui si racconta del matto Antonio che crede di annunciare alla sua amata Margherita, attraverso la sua lettera, di voler porre fine alla sua vita. «Hanno vinto quelli dall’altra parte del cancello. È come se fossimo riusciti ad aprirlo, a spalancarlo e farli uscire».
Anche il vescovo di Sanremo-Ventimiglia, monsignor Alberto Maria Careggio, aveva espresso considerazioni positive per questa canzone che «apparentemente ti porta in un mondo di morte, ma l’autore è riuscito a far sentire un soffio vitale».
L’idea è nata dall’esperienza di Servizio Civile di Cristicchi presso un Centro di igiene mentale romano dove «ho scoperto l’arte di ascoltare, di fare altre forme di comunicazione, fatte di sguardo e di parole non dette», racconta col suo fare sempre un po’ stralunato. Da qui un viaggio in alcuni manicomi italiani – da Volterra a Firenze, passando per Siena, Genova, Cogoleto – in cui l’interprete di “Ti regalerò una rosa” ha recuperato una serie di lettere scritte dai pazienti internati all’inizio del secolo scorso e mai giunte a destinazione. «I manicomi esistono ancora in maniera residuale e forse non più violenta come una volta – spiega il cantautore trentenne di Quarto Miglio –. Però è stato sconvolgente scoprire quelle persone abbandonate a se stesse. Era come stare in un posto asettico, privo di rapporti umani. A Cogoleto ho trovato anche il cimitero dei matti, con i sani da una parte e i malati dall’altra, ben lontani gli uni dagli altri. Lo stesso a Volterra. La schizofrenia ha sempre fatto paura e creato pregiudizi. Ma dare voce a quelle persone mi è sembrato un atto dovuto di giustizia, anche perché la follia è una metafora dell’oggi». Tanta dedizione al tema della follia, e alla cruda realtà che l’ha relegata a piaga sociale per tanto tempo, è affrontata da Cristicchi in una dimensione poetica che non ha nulla di retorico. E che la questione gli stia a cuore, lo si capisce anche dal fatto che di quest’idea dedicata ai matti ha fatto un concept progettuale che vede un disco intitolato “Dall’altra parte del cancello”, un dvd- documentario e un libro in uscita in questi giorni. «Non voglio essere ricordato come il vincitore del Festival, ma vorrei che ci si ricordasse della canzone», ha dichiarato timido e schivo come sempre.
Di positivo c’è che sulle pagine dei giornali, accanto alle critiche musicali e alla cronaca delle polemiche tra Baudo e il direttore di Rai Uno Del Noce, ci sono anche box sulla legge Basaglia (legge 180 del 1978 sulla chiusura dei manicomi) e approfondimenti vari su chi dei «punti di domanda senza frase», come canta Cristicchi, si occupa ogni giorno.
6 marzo 2007