L’inquieto Wilde nel “Ritratto” di Paolo Gulisano
Lo studioso di letteratura inglese indaga la figura dello scrittore e drammaturgo irlandese, uomo dalle forti passioni e dai grandi paradossi di Andrea Monda
Oscar Wilde è uno di quei pochi fortunati uomini che possono dire di avere conquistato una fama immortale: a cento anni dalla sua morte questo scrittore, poeta, drammaturgo, non si può certo dire che sia stato dimenticato. I suoi libri continuano a fare capolino dagli scaffali delle librerie, così come i libri su di lui, mentre il cinema continua ad attingere alla sua opera. Nel settembre 2009 uscirà una nuova produzione ispirata al suo capolavoro, “Il Ritratto di Dorian Gray”, ed ora, parafrasandone il titolo, lo studioso di letteratura inglese Paolo Gulisano gli dedica il suo “Ritratto”.
Ma c’era bisogno di aggiungere qualcos’altro su Wilde? Secondo Gulisano sì, perché Wilde rappresenta un mistero non ancora pienamente svelato, un uomo e un artista dalla personalità poliedrica, complessa: non solo un anticonformista che amava stupire la conservatrice società dell’Inghilterra vittoriana, ma anche un lucido analizzatore della modernità con i suoi aspetti positivi e soprattutto inquietanti; non solo un esteta, cantore dell’effimero e brillante protagonista dei salotti londinesi, ma anche un uomo che dietro la maschera dell’amoralità si interrogava e invitava a porsi il problema di ciò che fosse giusto o sbagliato, vero o falso, persino nelle sue principali commedie degli equivoci (come “L’importanza di chiamarsi Ernesto”), con l’acume ruvido di un irlandese che preferisce la saggezza ai luoghi comuni; non solo un omosessuale, ma anche un uomo che aveva amato profondamente le donne, che si era sposato e aveva avuto due figli che aveva sempre amato teneramente e ai quali, da bambini, aveva dedicato alcune tra le più belle fiabe mai scritte, quali “Il Gigante egoista” o “Il Principe Felice”.
Un uomo quindi dalle forti passioni ma anche dai grandi paradossi. Un uomo infine che dichiarava «di non aver nulla da dichiarare, se non il mio genio», ma che allo stesso tempo fu sempre in ricerca del Bello, del Buono, ma anche di quel Dio che non aveva peraltro mai avversato, che aveva forse elegantemente rispettato, ma dal quale si fece pienamente abbracciare dopo l’esperienza drammatica del carcere (dove scrisse l’opera “De Profundis”), convertendosi infine al cattolicesimo. C’era dunque bisogno dunque di un nuovo ritratto di Wilde, che evidenziasse tutti questi aspetti, complessi e soprendenti. È la sfida che si è posta Paolo Gulisano, non nuovo a questo tipo di imprese: saggista e scrittore, Gulisano è un medico prestato alla letteratura, cultore di storia e letteratura del mondo anglo-sassone inglese, già noto al pubblico italiano per i suoi volumi sull’Irlanda e la Scozia ma anche su altri autori come Tolkien, Lewis, Chesterton e Belloc, e autore di opere su aspetti poco noti della storia del cattolicesimo, come poco nota è l’appartenenza al credo di Roma, nel finale della vita, di Wilde, irrequieto figlio d’Irlanda, inquieto e inquietante, nel senso più «sano» del termine.
“Il ritratto di Oscar Wilde”, P. Gulisano, Ancora
22 giugno 2009