L’umiltà nelle omelie del Curato d’Ars
Carlo Travaglino raccoglie i primi sermoni di san Jean Marie Vianney, perle di saggezza e di semplicità «sminuzzate» per i suoi parrocchiani di Marco Testi
L’impressione più forte che rimane dopo la lettura de «Il vangelo del Curato d’Ars» è la sensazione di semplicità, ma una semplicità particolare, che nasconde qualcosa d’altro: la semplicità di chi vede bene nel profondo e cerca le parole per «tradurre» queste profondità in parole umane. Il volume, curato da Carlo Travaglino, presenta le prime omelie di Jean Marie Vianney, quelle che vanno dal 1818 al 1827, gli anni iniziali della sua cura di anime nel villaggio di Ars, quando passava ore ed ore a trascrivere frasi dai prontuari di predicazione, perché alcuni dubitavano fortemente delle sue qualità e lui stesso non ne era troppo sicuro. Ma Jean Marie era molto umile, e perciò imparava dagli altri, perché in fondo non è che tutti i preti debbano essere grandi oratori.
Oltretutto, era praticamente assediato dai penitenti e gran parte della giornata se ne andava nelle confessioni. Uno sforzo eroico, certo, che però lascia ben intravedere quella semplicità che non è frutto della dabbenaggine e della cultura approssimativa di uno che parla attraverso le citazioni di altri. A leggere queste omelie non si resta affascinati dalle faticose riprese di padri della Chiesa o di santi, ma dalla conoscenza dell’animo umano, che Jean Marie sminuzza alla gente come se si trattasse di pillole di saggezza popolare. Mette in pratica cioè quello che lui stesso raccomanda: di non inorgoglirsi dei doni ricevuti, anzi, di metterli al servizio degli altri.
Si prenda l’omelia che commenta il passo giovanneo del cieco nato: i discepoli di Gesù si interrogano sul perché l’uomo sia cieco. Vianney prende subito il discorso della sofferenza: «Guai a voi – dice a costoro Gesù Cristo, – a voi che pensate solo a spassarvela, perché i vostri piaceri, davanti alla mia giustizia, diventeranno fonte per voi di mali infiniti». La Francia era uscita dal duplice trauma del Terrore rivoluzionario e di Napoleone e cercava di dimenticare stordendosi tra spiritismo e mondanità, mentre c’era chi, nei villaggi, faceva fatica a sbarcare il lunario.
Questo di Vianney è un monito apparentemente semplicistico, ma in realtà nasconde l’essenza del cristianesimo: l’assunzione della croce degli altri, aiutando fattivamente chi non ce la fa. In ogni omelia il Curato mostra si saperne molto di più di quanto non si dicesse di lui allora e di quanto lui stesso, con il suo linguaggio affabile e nel contempo assertivo e deciso, non dimostrasse. «Sapete che cos’è una persona che non è nutrita da questa santa Parola o che ne abusa? È come un malato senza medico, è come un viaggiatore che si è perso e non ha la guida, è come un povero che non ha mezzi per vivere», afferma Jean Marie. Linguaggio diretto, nutrito da esempi molto sentiti in un contesto sociale in cui la malattia, il viaggio a piedi e il rischio di cadere in povertà erano all’ordine del giorno
«Il Vangelo del Curato d’Ars», a cura di Carlo Travaglino, San Paolo, pp. 182, 12 euro
10 maggio 2010