«Maestre di misericordia e costruttrici di pace»

Per le tutte le donne il pensiero di Benedetto XVI durante la celebrazione all’International Stadium di Amman. Cinquecento bambini hanno ricevuto la prima Comunione da Amman Mariaelena Finessi

Il pensiero più bello, questa volta, è per le «innumerevoli madri cristiane, suore, maestre ed infermiere», cioè per «tutte quelle donne che in diverse maniere hanno dedicato la loro vita a costruire la pace e a promuovere l’amore». Benedetto XVI, nel giorno in cui si celebra la festa della mamma (10 maggio), dedica l’omelia alle donne, a loro «carisma profetico» – come lo chiamò Giovanni Paolo II – e, dunque, al ruolo che esse hanno «nel piano di Dio». «Sfortunatamente» però, ricorda dall’altare nell’International Stadium di Amman, questa dignità e missione «non sono state sempre sufficientemente comprese e stimate». Eppure, sono proprio loro le «maestre di misericordia e costruttrici di pace, comunicatrici di calore ed umanità ad un mondo che troppo spesso giudica il valore della persona con freddi criteri di sfruttamento e profitto».

E di madri, questo stadio è pieno: giordane e immigrate filippine, indiane, armene, libanesi, irachene e soprattutto palestinesi. «Donne nuvole», direbbe lo scrittore Erri De Luca, «donne che si staccano da terre di origine e di affanno» e le cui storie «sono ancora allo stato di ferite, cucite a punti larghi, mal richiuse». Accompagnano i propri bambini per mano, 500 dei quali oggi faranno la prima Comunione. «Io da solo ne ho portati 110 dalla mia parrocchia». Padre Eyad Bader è viceparroco ad Al Zarqa Nord, la seconda città più grande della Giordania, 30 chilometri da Amman, costruita nel 1927 per i militari che si accampavano nel deserto. La sua parrocchia conta 1.500 famiglie per un totale di circa 9300 persone. Anche i parrocchiani di padre Eyad potranno assistere alla Messa del Papa, «grazie al Re che ha voluto concedere il giorno festivo a tutti i cristiani».

Fuori di qui, il resto del Paese è al lavoro. Nel prato dello stadio, invece, a poche decine di metri dal palco, Koulud guarda a terra, bocca serrata dalla tensione. Koulud è una ragazzina di 14 anni e trascorre le giornate su una sedia a rotelle. Le hanno detto che prenderà la comunione dalle mani del Pontefice: «Sono contenta di essere davanti al Papa, spero che sia proprio lui a darmi la comunione ma se non è così non importa, è bello ugualmente». I fotografi e le telecamere si avvicinano per indugiare sulla sua disabilità, ignorando che qui essere malati è una vergogna da nascondere.

Qualche fila di sedie più indietro, una religiosa cerca di far stare buoni i bambini: è suor Flavia, della congregazione Maestre di santa Dorotea di Vicenza. Vive da queste parti dal 1975 e nella sua missione c’è l’educazione e l’assistenza sanitaria. Da Zarka ha portato 720 fedeli per assistere alla Messa del Santo Padre: «È la prima volta anche per me, sono davvero felice di vedere il Papa da vicino. Noi tutti ci auguriamo che la sua venuta possa portare pace tra gli adulti così che a loro volta potranno insegnare ai più piccoli il rispetto». Il maxi schermo – dono della Cina alla Giordania, come riporta la dicitura apposta in basso al monitor – rimanda intanto le immagini di gente in festa. In tutto 30 mila persone che cantano in arabo «Benedetto, benvenuto in Giordania». Salendo sul palco, il Pontefice ricambia con un «al salam Alaykoum» (Che la pace sia con voi) e la gioia si fa incontenibile.

Anche Padre Imad Alamat, parroco a Kerak, capitale dei moabiti nel sud della Giordania, sottolinea che tutto questo è stato possibile proprio grazie al Re Abdullah II che si apre ai cristiani, e che con loro condivide tanti progetti, specie per l’infanzia e la gioventù giordana. «Le porte del dialogo sono dischiuse ma si possono addirittura spalancare se ci si impegna a fare di più, sempre però nel rispetto delle proprie identità». Padre Imad in questo modo aggancia il proprio pensiero alla frase del Papa, quando chiede fedeltà alle radici cristiane e l’impegno a restare nella propria terra. Impossibile non ricordare allora i cristiani iracheni, fuggiti da una feroce persecuzione e arrivati in Giordania, la terra – è questa l’etimologia della parola – di “coloro che scendono la montagna per andare a prendere l’acqua”.

«La fedeltà alla missione della Chiesa in Terra Santa – le parole di Benedetto XVI risuonano nello stadio – vi chiedono un particolare tipo di coraggio», «il coraggio di impegnarvi nel dialogo e di lavorare fianco a fianco con gli altri cristiani nel servizio del Vangelo e nella solidarietà con il povero, lo sfollato e le vittime di profonde tragedie umane; il coraggio di costruire nuovi ponti per rendere possibile un fecondo incontro di persone di diverse religioni e culture e così arricchire il tessuto della società». Il Pontefice ha chiesto infine una forte testimonianza contro coloro, troppi, che «giustificano» la soppressione di vite innocenti.

12 maggio 2009

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