Monsignor Venier, 70 anni di sacerdozio
Classe 1916, friulano, è il fondatore di Roma Sette ed è stato il primo direttore dell’Ufficio comunicazioni sociali. Durante la guerra salvò, nella sua parrocchia, una settantina di ebrei di Angelo Zema
Prende tra le mani i suoi libri, che contengono un pezzo della storia della città e della Chiesa di Roma. E racconta con passione frammenti di una vita che attraversa quasi tutto il Novecento. Lucidissimo come sempre, anche se un po’ stanco – pochi giorni fa è tornato dal suo quarto pellegrinaggio in Terra Santa -, monsignor Elio Venier, primo direttore dell’Ufficio comunicazioni sociali del Vicariato di Roma e fondatore di Roma Sette, è un «solido friulano», come lo definiva l’allora cardinale vicario Ugo Poletti, che accettò volentieri l’«invenzione» di una voce della diocesi in quel novembre 1974 per colmare un vuoto nell’informazione ecclesiale a Roma.
Un friulano così solido da programmare senza problemi, a soli due mesi dal 94° compleanno, che cade il 14 agosto, le vacanze nel suo Friuli: partenza il 5 luglio in aereo alla volta di Trieste, ritorno l’8 settembre. E in mezzo, una celebrazione nella Pieve di San Pietro in Carnia, a tre chilometri dal paese natale Zuglio (l’antica città romana Iulium Carnicum in provincia di Udine, nel Nord del Friuli), per festeggiare con la sua gente i 70 anni di sacerdozio. In un luogo che ospita un centro culturale cui monsignor Venier ha donato 27mila volumi per la biblioteca. La Messa in terra friulana si aggiunge a quella solenne celebrata il 4 febbraio scorso nella Cappella Borghesiana della basilica di Santa Maria Maggiore (di cui è canonico onorario), con il pensiero all’ordinazione del 3 febbraio 1940. E a quella vissuta in un clima più «informale», concelebrata il giorno precedente con il cardinale Fiorenzo Angelini (l’unico ancora in vita tra i presbiteri ordinati a Roma in quell’anno) nella cappella delle suore benedettine del Santo Volto di Gesù Cristo a via della Conciliazione. Fotogrammi recenti di una vita sacerdotale che affonda le sue radici, oltre che nella «regale chiostra dei monti della Carnia» – cantata da David Maria Turoldo (classe 1916, come monsignor Venier) – nella formazione al Seminario Romano Maggiore, nell’insegnamento letterario, artistico e della religione, e nella prima esperienza in parrocchia, a Santa Maria Madre della Provvidenza, nel quartiere di Monteverde che allora era periferia.
Per il sacerdote, che incontriamo nella sua casa di rettore della chiesa di Sant’Eligio dei Ferrari (e di primicerio dell’omonima arciconfraternita), a due passi da piazza Venezia, «sono stati i momenti più belli del mio ministero presbiterale». Tempi duri, quelli della guerra. Una targa donata dalla Comunità Ebraica di Roma, appesa a una parete, ricorda l’impegno di don Elio e dell’allora parroco di Monteverde, monsignor Ferdinando Volpino, per salvare una settantina di ebrei dalla furia nazista, nascosti nei locali che venivano utilizzati dall’Azione cattolica, mentre tre disertori avevano trovato rifugio nei solai della parrocchia. La gente della zona sapeva ma, nonostante le ricompense offerte dai nazisti per chi segnalava queste situazioni, nessuno parlò. Immensa la gratitudine di quei salvati, ancora oggi testimoniata dai loro figli e nipoti. «È accaduto anche pochi giorni fa con due donne che sono venute a trovarmi», racconta monsignor Venier.
Uno dei tanti esempi dell’aiuto che in quegli anni bui le comunità cattoliche di Roma avevano dato agli ebrei e a coloro che erano ricercati. Altri episodi sono raccontati nel libro “Il clero romano durante la Resistenza”: una delle 35 pubblicazioni di monsignor Venier che, tra l’altro, ha raccolto in tre volumi gli editoriali apparsi sulle pagine di Roma Sette, allora inserite insieme a quelle nazionali di Avvenire, quotidiano di cui è stato – ed è ancora – convinto sostenitore. In quegli editoriali c’è l’anima di Roma, della sua ricchezza umana, della sua vitalità, delle sue vicende anche dolorose. E l’esperienza di un prete-giornalista che è stato portavoce di tre cardinali vicari (Traglia, Dell’Acqua, Poletti), guida spirituale dei giornalisti cattolici (assistente all’Ucsi), sostegno per tanti futuri comunicatori e che ha rinnovato la Rivista Diocesana di Roma. Dai libri emerge anche la fedeltà ai Papi, come dimostra «Il mio Paolo VI», e la passione per il sacerdozio, come testimonia anche “Preti di Roma”. «Ma oggi la mia maggiore fortuna – confessa – è di essere capo spirituale della mia cara arciconfraternita di Sant’Eligio dei Ferrari: qui mi sono trovato in famiglia, e a essa devo un affetto particolare di sacerdote, di padre ed amico». Una famiglia che guida dal 1952: quasi sessant’anni nel segno delle tradizioni popolari e nell’apertura alla modernità, con lo sguardo sui monumenti della Roma antica.
(Collaborazione di Luciano Montemauri)
28 giugno 2010