Niccolò Agliardi, un poeta con la passione della musica
Il cantautore milanese si esibirà alla Sala Teatro Studio dell’Auditorium Parco della Musica venerdì’ 21 ottobre. Al suo attivo molti premi, tra cui gli Ascap Award
di Concita De Simone
Non chiamatelo poeta, ma, se non l’avete ancora mai fatto, provate ad ascoltare le sue canzoni e vi accorgerete che la tentazione di definirlo così è forte. Ma lui non ci tiene, Niccolò Agliardi, cantautore milanese classe 1974, che si esibirà venerdì 21 ottobre all’Auditorium Parco Della Musica di Roma (Teatro Studio), accompagnato da una band di cinque elementi, formata da Andrea Torresani al basso, Max Elli alle chitarre, Tommaso Ruggeri alla batteria, Giacomo Ruggeri alle chitarre e Francesco Lazzari al Piano-Rhodes, per presentare, tra gli altri, i brani del suo ultimo album «Non Vale Tutto» (prodotto e distribuito da Carosello Records). Oltre ad aver calcato palchi prestigiosi ha avuto anche molti riconoscimenti. Tra cui gli Ascap Award (considerati gli Oscar musicali per gli autori nel Nord America) di quest’anno per la miglior ballad pop con il testo di «Invece no», scritto in collaborazione con Laura Pausini e portato al successo dalla cantante romagnola. Prima del suo arrivo nella capitale si racconta a Romasette.
Come nascono le tue canzoni e quelle che scrivi per altri?
Quelle che nascono per me, non hanno una spiegazione antropologica o spirituale, ma arrivano da un bisogno concreto che sento di comunicare. E’ una capacità che ho affinato negli anni quella di capire quando quello che avevo in mente poteva diventare una canzone. Come se fosse un fattore genetico, non cerco l’ispirazione nell’Iperuranio, ma viene veramente da dentro. C’è chi fa quadri e chi canzoni. Poi, quando scrivo, mi accorgo che alcune cose non sono adatte a me, alla mia storia, o non mi sembrano appropriate per la mia voce. Vivo di musica e con la musica, quindi devo fare i conti con l’aspetto remunerativo del mio lavoro. Ecco perché scrivo anche per altri! Avrei voluto nascere in altri tempi perché tutto questo fosse più automatico.
A proposito di altri tempi, magari ti sarebbe piaciuto il Folkstudio romano degli anni Settanta, con De Gregori. Hai anche fatto la tua tesi di laurea su di lui per studiarlo a fondo
Lo seguo sin da piccolo; avevo circa 6 anni quando mio padre mi ha fatto ascoltare per la prima volta canzoni come «Generale» e «Capo d’Africa». Quella che mi ha folgorato è «Gesù Bambino». Mi divertiva questa sorta di ninna nanna, una cantilena, un motivo semplice che nascondeva dei valori. La cosa bella della canzone d’autore è poter essere una maschera sana che nasconde un sotto-testo importante. De Gregori e Fossati sono le nostre penne d’oro da cui c’è molto da imparare.
Tu tieni lezioni e seminari sulla canzone d’autore alla Statale di Milano. Cosa insegni? Suggerisco sempre il rispetto che la canzone dovrebbe avere, sia di chi la fa che di chi la ascolta. La canzone di oggi ha una tradizione antica, arriva dal trecento, dalla forma canzone, ha riferimenti letterari importanti, il Dolce Stil Novo di Dante. Bennato cantava “Sono solo canzonette”, e aveva ragione, ma possono veicolare anche dei messaggi importanti. Poi, certo, non tutte sono belle canzoni. Anche la pizza la sanno fare tutti, ma i napoletani la fanno di sicuro meglio degli australiani.
Tu non punti agli stadi pieni ma ai cuori arricchiti
Io non ho bisogno di fare altro rispetto al mio istinto, e sul fatto di riempire i cuori, hai ragione tu. Pochi indotti non equivalgono a poche emozioni. Fa piacere, certo, avere consensi, poi, se non si ha l’unanimità, pazienza, vuol dire che qualcosa è andato storto, ma ci sono tante altre ragioni per essere felice. Non mi comprerò mai il villone favoloso, ma la cucina di casa mia è abbastanza dignitosa.
A settembre sei stato ospite al congresso Eucaristico di Ancona: ma tu sei credente?
Raramente muovo la mia canzone per denaro. Ho accettato con piacere l’invito perché pensavo che fosse un’occasione che poteva arricchirmi in senso metaforico. Ero stato invitato a San Pietro per cantare davanti al Papa qualche anno fa, ma avevo già impegni. Mi ritengo una persona spirituale, e mi sento in ricerca nel mio cammino di fede. Però, ad Ancona, mi hanno colpito tanto anche i vescovi e i fedeli con cui ho avuto modo di parlare. Il linguaggio musicale ha una sua estetica e una morale e sono molto contento che possa arrivare a tutti, poi ognuno può dare la sua interpretazione.
Scriveresti un «L’ultimo giorno d’inverno» per Roma?
Sì, mi piacerebbe tantissimo. Amo molto Roma, ci passo molto tempo. Ma si conosce bene una città quando si è sicuri di non perdersi in essa. Non amo sempre Milano, ma difficilmente mi ci perdo; su Roma, devo migliorare.
14 ottobre 2011