Orchestra, voce e ricordi: intervista a Francesco Renga

L’artista bresciano ma nato a Udine sarà in concerto all’Auditorium della Conciliazione sabato 27 marzo. In scaletta successi di ieri e di oggi di Concita De Simone

Quante volte ci è capitato di canticchiare una canzone, magari sentendola alla radio, che ci riportava indietro nel tempo: infanzia, piccoli-grandi flash di momenti vissuti con i nostri cari, situazioni scolpite nella memoria del cuore. Succede anche ai cantanti di professione, come Francesco Renga che da questo ha ricavato un album. “Orchestra e voce”, il suo ultimo lavoro discografico (Universal Music) – che l’artista bresciano con natali a Udine sta portando in tour per l’Italia – raccoglie pagine di storie della musica, ma, ascoltandolo, non sembra affatto un album di “cover”, cioè di canzoni ri-fatte da un altro. Perché vera protagonista è proprio la voce dello stesso Renga, che nell’album non canta solo accompagnato da un’orchestra, ma usa la sua voce tenorile come una pluralità di strumenti musicali.

Un viaggio a ritroso nel tempo, raccontato nel booklet scritto direttamente dall’artista, che contiene ricordi emozionanti del suo incontro con la magia delle canzoni, avvenuto grazie ai suoi genitori. Il ricordo di Renga bambino, seduto sul sedile posteriore di una vecchia Lancia Fulvia verde bottiglia, quando per la prima volta ascoltò “Un amore così grande” e scoprì la voce di Del Monaco dal mangianastri acceso dal padre. O quando, da ragazzo, si finse malato per evitare la scuola e rimase con la madre, che in cucina cantava le melodie di Aznavour e Patty Pravo.

Tra le altre canzoni dell’album: “L’immensità” di Don Backy, “Io che non vivo senza te”, di Pino Donaggio, “L’ultima occasione”, portata al successo da Mina, “Se perdo te”, di Patty Pravo, “Pugni chiusi” dei Ribelli, “Lei” di Charles Aznavour, “La voce del silenzio” sempre Mina, “Dio come ti amo” di Domenico Modugno e “Non si può morire dentro” di Gianni Bella. Non mancano due brani dello stesso Renga, “Angelo” con cui vinse il Festival di Sanremo 2005, e la più recente “Uomo senza età”, presentata al Festival 2009.

In concerto, dunque, chi si aspetta di sospirare tra un ricordo e l’altro mentre ascolta un’orchestra dietro alla voce di Renga, non resterà deluso. Sarà così anche a Roma, dove l’ex leader dei Timoria – rock band molto amata dai giovani negli anni Novanta – si esibirà sabato 27 marzo all’Auditorium della Conciliazione, accompagnato dalla Ensemble Symphony Orchestra, nata in seno all’Orchestra Sinfonica di Massa Carrara grazie alla fusione delle esperienze classiche e liriche di alcuni tra i migliori strumentisti italiani provenienti da importanti teatri nazionali.

Francesco, che cosa significa per te, che sei un cantautore, cantare canzoni di altri?
È una cosa che ho sempre voluto fare anche perché sono le canzoni che mi hanno fatto innamorare della musica, della voce e del canto. In realtà ho cominciato canticchiando Mina e Battisti, come fanno tutti, come faceva mia madre mentre sistemava la casa. Cercavo un progetto per far uscire il mio nome fuori dall’Italia e quale cosa migliore che le meraviglie del patrimonio della canzone italiana? Con Celso Valli, che è il produttore e l’arrangiatore del disco, abbiamo trovato l’entusiasmo giusto per rendere queste canzoni già immortali, contemporanee, moderne, adatte all’orecchio di oggi. Non mi sarei mai messo a scimmiottare interpreti inarrivabili.

Un ricordo fa sorridere, piangere o rimpiangere. A te che effetto fanno i ricordi raccontati in “Orchestra e voce”?
Sono agrodolci. C’è lo spleen che mi contraddistingue, il dolore di certi avvenimenti o quella sensazione di felicità pura e intensa che difficilmente si ritrova da adulti, se non fosse per i figli.

[“>E ai tuoi figli piacciono queste canzoni?
Oh, sì, le ascoltano e le cantano. Amano l’orchestra sinfonica, con tutti quegli strumenti. Soprattutto Jolanda, che ha sei anni, è molto intonata.

Com’è, per un’artista che viene dal rock, cantare con l’orchestra?
Una bellissima sorpresa che ho voluto ripetere dall’album al tour, di cui sono anche produttore. È una cosa che non so spiegare, ma anche molti fans mi hanno detto di non avermi mai visto così a in forma sul palco. Mi sento molto a mio agio nella dimensione dell’orchestra, con tutti i cinquanta elementi. Penso che ogni stagione abbia il suo linguaggio. Oggi mi sento bene con l’orchestra come quando a 20 anni avevo il giubbotto di pelle e cantavo su tutt’altri palchi.

Presentando l’album dici “Vorrei aver vissuto quel periodo magico in cui Battisti scriveva per Mina e gli autori erano straordinari”. Certo, non si può tornare indietro, ma cosa fare per andare avanti?
Cercare di rimettere al centro la musica e i ruoli che si sono persi. Manca il modo di lavorare con ruoli distinti: autori, compositori, parolieri. Oggi sono tutti factotum, il ragazzino a 16 anni si può produrre un disco da solo, dalla creazione fino alla stampa. Ma ognuno ha dei talenti. Il mio è il canto, che ho cercato di mettere al centro in questo lavoro. Ognuno dovrebbe fare quello per cui è bravo. La cosa più difficile per uno come me, è trovare grandi autori con grandi canzoni. Elvis non ha mai scritto una parola, Mina neanche, eppure non è che fossero incapaci. Ma ci vuole umiltà. Io mi sono trovato a scrivere per necessità. Ci sono cose che devi dire con il tuo linguaggio, nel mio caso una canzone, ma io faccio fatica a scrivere canzoni. Il disco di inediti che uscirà in autunno è stato faticoso. Per scegliere 12 canzoni ne devi scrivere almeno 40.

Preghi ancora il tuo “Angelo custode”, come raccontasti a Sanremo nel 2005?
Certo, tutte le sere. Adesso lo faccio coi miei figli. Abbiamo il rito della sera, tutti nel lettone, favola, preghiera e poi a dormire.

25 marzo 2010

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