Perché il sacrificio della Croce? La risposta della lettera agli Ebrei
di Andrea Lonardo
«Non è il dolore in quanto tale che conta nel sacrificio della croce, bensì la vastità dell’amore. Se così non fosse, i veri sacerdoti dinanzi all’altare della Croce sarebbero stati i carnefici: proprio essi infatti, che hanno provocato il dolore, sarebbero stati altrimenti i ministri che hanno immolato la vittima sacrificale». Così scriveva già nel 1968 Joseph Ratzinger nelle sue lezioni sul Simbolo apostolico del volume “Introduzione al cristianesimo”.
La domanda sul significato della Croce non cessa di scuotere ogni generazione. Uno dei testi neotestamentari che ne chiarifica il senso è la lettera agli Ebrei. Essa è, in realtà, la trascrizione di un’omelia pronunciata prima dell’anno 70 dopo Cristo, l’anno nel quale il generale Tito, agli ordini del padre Vespasiano, distrusse il Tempio di Gerusalemme, depredandone gli arredi. L’arco di Tito conserva memoria in Roma di quegli antichi avvenimenti: nel suo fornice un pannello rappresenta i soldati romani in trionfo che portano su due portantine il candelabro a sette braccia e la tavola sulla quale erano offerti i pani detti “della proposizione”. Da quell’anno si interruppero le offerte dei sacrifici nel Tempio e la storia dell’ebraismo conobbe una svolta radicale.
Nella lettera agli Ebrei, che confronta il nuovo sacerdozio di Cristo con il sacerdozio levitico che si svolgeva nel Tempio, non è possibile trovare neanche un minimo accenno alla fine dell’antico culto; gli esegeti ne deducono che la lettera è di poco anteriore al 70, poiché se l’autore avesse avuto conoscenza della distruzione del Tempio ne avrebbe certamente inserito la notizia nella sua argomentazione.
L’omelia divenne una lettera, come è facile vedere dagli ultimi versetti. Fu cioè inviata a un altra comunità perché lì fosse letta. Questa comunità è probabilmente Roma, poiché si dice in chiusura del testo: “Vi salutano quelli che provengono dall’Italia” (Eb 13,24). Queste parole sono testimonianza del fatto che alcuni emigrati dall’Italia inviarono insieme alla lettera il saluto ai loro compatrioti; è ovvio che un invio dello scritto in Italia non poteva non comprendere come destinazione anche Roma.
Perché il sacrificio di Cristo è “nuovo” e “definitivo”? Perché la morte in Croce? Perché un sacrificio compiuto una volta per tutte? Queste sono le grandi domande a cui risponde la lettera agli Ebrei. Afferma l’Autore: «La legge non ha portato nulla alla perfezione» (Eb 7,19)! I tanti sacerdoti che avevano offerto sempre nuovi sacrifici a Dio dovevano offrirli sempre di nuovo, perché né loro, né il popolo erano mai senza peccato. I sacrifici rinnovavano sempre il ricordo dei peccati, ma mai rendevano totalmente nuovo il cuore.
Cristo non offrì una vittima per quanto preziosa, ma offrì se stesso (Eb 8,27). A Dio fu gradita non semplicemente la sua morte, non il suo dolore – lungi dal cristianesimo l’idea di un Dio che si compiace del dolore! Dio ha amato, nella Croce, l’amore del Figlio. È questo la novità cristiana, è questa la salvezza del mondo: Cristo ha riempito di amore il dolore fisico della crocifissione, Cristo ha colmato di amore, attraverso il perdono, anche il dolore del rifiuto che gli uomini hanno avuto di lui. Lì dove l’uomo accresce la rabbia o il rifiuto, Egli ha riempito di obbedienza al Padre e di misericordia il male che gli era inflitto.
Ma perché ha potuto farlo? Proprio perché è il Figlio fattosi uomo. I sacrifici delle religioni sono offerte dell’uomo rivolte a Dio; ogni popolo nei secoli ha cercato di prendere quanto di più bello e prezioso aveva per offrirlo a Dio. Nella fede cristiana, invece, l’offerta discende dal Cielo. Il dono giunge da Dio, il sacrificio e il sacerdote provengono da lui. Dio ci ha donato il Cristo perché noi accogliessimo il suo sacrificio per noi. Cristo, dice l’Autore della lettera agli Ebrei, non è solo «misericordioso» verso noi uomini, ma è, insieme, «degno di fede», perché più grande degli angeli, perché, luce della stessa gloria divina, porta impressa in sé tutta la divinità di Dio.
4 marzo 2008