Roma Jazz Festival

Torna in estate la rassegna che festeggia i suoi 30 anni. Ne parla il direttore artistico Ciampà (nella foto, John Zorn)di Concita De Simone
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L’unione fa la forza, si dice. Anche se il motto non si confà alle logiche commerciali fatte di competizioni e implicite gare. Ma la musica, si sa, va oltre. Ne è una prova il Roma Jazz Festival, esempio di comunione di intenti – quello di diffondere il jazz – e di sinergia di potere – con l’alleanza di diverse realtà che programmano il genere nella Capitale -. Si tratta del più longevo evento musicale romano, che dopo 10 anni torna d’estate per festeggiare il suo trentesimo compleanno. Nel frattempo ha conosciuto, ogni anno, una versione invernale. Il programma, piuttosto organico, valorizza l’intera proposta jazz cittadina, dando un contributo alla vita culturale della Capitale. La manifestazione, realizzata con il sostegno del Comune di Roma (assessorato alle politiche culturali – dipartimento cultura, ufficio spettacolo) e in collaborazione con Casa del Jazz, La Palma Club, Musica per Roma – Auditorium Parco della Musica, segna la nascita del primo “Festival collettivo”: un unico programma estivo, stavolta, ricco di nomi illustri e nuove proposte. Roma diventa così la “città più jazz d’Italia”: “uniti nelle diversità”, ognuno degli ambienti coinvolti conserva inalterate le proprie specificità progettuali. L’Auditorium per i grandi eventi (come quello, a grande richiesta, dopo l’indimenticabile concerto nella Cavea dell’estate scorsa, con John Zorn – nella foto -, Dave Douglas, Greg Cohen e Joey Baron e il progetto Acoustic Masada ispirato alla musica e alla cultura ebraica, l’11 luglio); la Casa del jazz per le giovani promesse e per i più famosi artisti italiani e internazionali orientati verso le nuove sperimentazioni; La Palma Club per le proposte di avanguardia con fughe verso il latin jazz e il blues. Nota nient’affatto scontata, considerate le diverse manifestazioni con programmazioni simili, è la scelta dei concerti che è stata pensata senza inutili sovrapposizioni, ma piuttosto come una festa per il jazz che finalmente trova una positiva collaborazione tra i promotori e le istituzioni. Dietro a tutto questo, da trent’anni, c’è Mario Ciampà, direttore artistico del Roma Jazz Festival.

Come mai una versione estiva?
Festeggiamo i trent’anni, siamo il primo festival jazz fatto a Roma durante la prima “Estate romana” e allora siamo tornati alle origini. È chiaro che d’inverno, avendo a disposizione i teatri e i piccoli club, possiamo permetterci una programmazione più selezionata e particolare. D’estate, nei luoghi all’aperto, siamo più popolari e trasversali, senza perdere di vista la qualità.

Come nasce questo spirito di collaborazione che vi contraddistingue?
È estremamente difficile, lo ammetto. Ma la mia, diciamo, anzianità di servizio, mi permette di osare. Conosco bene tutti i vari organizzatori e musicisti e non è stato difficile convincerli del programma unitario. Il merito è anche di chi ha accettato la proposta, dunque di Luciano Linzi, direttore della Casa del Jazz, Marco De Persio de La Palma e Flavio Severini di Musica per Roma – Auditorium Parco della Musica. Superate le prime gelosie, ci siamo ritrovati intorno a un tavolo, ed eccoci qua.

Roma viene definita, nella vostra presentazione, la “città più jazz d’Italia”.
Ci siamo arrivati con tanti anni di onorato lavoro. Io ho diretto anche la scuola Saint Louise, la più antica scuola di musica a Roma, dove hanno studiato tanti grandi musicisti che adesso portano Roma in giro per il mondo. Ecco, si è innestato un processo che ha creato l’ambiente jazz, con locali, occasioni, eventi, e, naturalmente, sempre con l’aiuto dell’amministrazione comunale. Ma, anche le migliori proposte, non servirebbero a niente se non ci fosse il pubblico e, nel nostro caso, ce lo siamo conquistato di anno in anno.

È cresciuta la voglia di jazz a Roma?
Direi che è cambiato il pubblico. Spesso, oggi, i giovani tra i 18 e i 30 anni che vanno ad ascoltare la musica lounge nei locali magari non sanno che è di derivazione jazz, con la differenza che è suonata da un dj e non è eseguita dal vivo. E non bisogna confondere chi frequenta un concerto jazz per passare una bella serata e, allora, può essere interessato a un programma generico, e chi, invece, fa una scelta mirata, perché è un appassionato e cerca proposte impegnative.

7 luglio 2006

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