Una vita con lo stile dell’accoglienza

Dal Friuli a Roma, la storia e il pensiero di monsignor Elio Venier, fondatore del nostro settimanale diocesano di Angelo Zema

«Il mio “io” si disintegra per vivere di Lui». Monsignor Elio Venier l’aveva scritto in una sua poesia, e se, come annotava Rilke, «i versi non sono sentimenti ma sono esperienze», c’è vita poderosa in quel verso. C’è una vita, a cavallo tra due secoli, vissuta in Cristo. Con il passo della Chiesa. Don Elio, che ha fondato nel 1974 le pagine di Roma Sette (all’inizio avevano il numero al posto della lettera) e ha diretto per oltre un trentennio l’Ufficio diocesano per le comunicazioni sociali, ci ha lasciato poco dopo l’alba della solennità della Santissima Trinità. Quasi un omaggio dal cielo a chi ha fatto della sua vita una lode continua al Dio amore e comunione.

Avevamo raccontato la sua storia – o meglio, alcuni frammenti, come si può fare in un articolo – nel giugno di un anno fa, in occasione dei suoi 70 anni di sacerdozio (Monsignor Venier, 70 anni di sacerdozio).

Don Elio era nato nel Friuli della laboriosità e dell’accoglienza, nel «paese di temporali e di primule» cantato da Pasolini, e precisamente in quella Carnia terra di frontiera e di dialogo tra popoli. Di quella terra conservava ancora vividamente la lingua – è in friulano l’ultima telefonata, poche ore prima della morte, con il fratello Luigi – e ne portava la solidità e la fede, e alla terra delle radici ha voluto ricambiare con un dono dal valore inestimabile, 27mila volumi della sua biblioteca al centro culturale di San Pietro in Carnia, poco distante dal paese natale Zuglio. Ma don Elio era anche profondamente romano, come testimoniano gli editoriali apparsi in tanti anni sulle colonne delle pagine diocesane che hanno raccontato le vicende della città in trasformazione.

Sostenitore di Avvenire con convinzione, ha seguito fino all’ultimo Roma Sette con affetto. E, quando ci vedeva, non mancava di dire: «Ricorda che quelle pagine le ho iniziate io». È stato testimone di fedeltà assoluta ai Papi e alla Chiesa in un cammino non sempre facile, e insieme «profeta» della cultura e della comunicazione spesso in anticipo sui tempi: tra l’altro aveva insegnato perfino la teologia in Dante. In ogni incarico ricoperto ha saputo aprire orizzonti nuovi e ha sempre guardato al futuro, come confermano anche i libri usciti negli ultimi anni.

Tra le pubblicazioni, vale la pena sottolineare l’omaggio all’impegno del clero romano durante la Resistenza, con le storie di chi operò con grandi difficoltà al servizio del bene in un tempo buio per tutto il Paese. In quegli anni don Elio fu «protagonista» silenzioso, nella parrocchia di Santa Maria Madre della Provvidenza, a Monteverde, insieme al parroco, ospitando una settantina di ebrei per preservarli dalle atrocità dei nazisti. Tanti salvati, e i loro figli, hanno continuato a rendergli omaggio fino all’ultimo. Andrea Riccardi lo cita dieci volte nel libro “L’inverno più lungo”. Un esempio – consegnato alla storia – di una «buona battaglia» vissuta alla luce del Vangelo.

27 giugno 2011

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