“Dogman”: Besson e gli “ultimi”

Nelle sale dal 12 ottobre il nuovo film del regista francese: una messa in scena cupa, dal sapore doloroso, che sembra senza via d’uscita. Con un simbolismo religioso che guarda in alto

Douglas, giovane sui trenta anni, è arrestato dalla polizia alla guida di un furgone pieno di cani randagi. Portato in cella e interrogato dalla psichiatra Evelyn, l’uomo appare disposto a collaborare e comincia a raccontare la sua storia. Procede a ritroso, tornando agli anni dell’infanzia, questo Dogman, il nuovo film di Luc Besson in concorso alla recente Mostra del cinema di Venezia, nelle sale da domani, 12 ottobre.

Si comincia con una sorta di ritratto del protagonista da adolescente, costretto fin dall’ infanzia a subire percosse e violenze da un padre incapace di esprimere una parola di comprensione verso il figlio. I primi anni di Douglas passano così, rinchiuso per lungo tempo in una gabbia di cani in giardino. Il ragazzo esce da questo triste periodo segnato irreparabilmente nel fisico e nel morale. Da adulto, ha ormai perso fiducia negli esseri umani e di contro trova l’unico conforto in quelli che ormai sono i suoi amici a quattro zampe.

Di più, sulla vicinanza tra lui e i cani Douglas costruisce il suo bunker, il suo fortino dal quale agisce per difendersi e attaccare contro le intemperie della vita. A causa del suo turbolento passato, Douglas vive su una sedia a rotelle ogni attimo dal suo triste, terribile presente. Attivando meccanismi di reazione che finiscono per colludere con azioni malavitose, l’uomo a poco a poco entra nel ruolo di chi reagisce ai soprusi e per questo chiede l’aiuto degli amati cani. Con il procedere del racconto, il quadro che si sviluppa si fa livido e tragico.

È esattamente in questo punto che Besson recupera alcuni stilemi narrativi che fanno parte del suo prediletto bagaglio espressivo. Nato a Parigi il 18 marzo 1959, Luc Besson è, tra i registi francesi, quello più anomalo e meno omologabile con le suggestioni più palesi arrivate da Oltralpe. A diciannove anni si trasferisce a Los Angeles dove impara il mestiere del cinema. Quando torna, gira il suo primo film Le Dernier Combat (1982). Negli anni successivi arrivano titoli quali Nikita (1990), Leon (1994), che codificano una precisa scelta tematica.

Anche qui Douglas si propone come la parabola di un “ultimo” rifiutato da tutti, al quale non resta che abbandonarsi alla violenza per mettere fine a ingiustizie e delusioni. Ne deriva una messa in scena cupa, dal sapore nero e doloroso, che sembra senza via d’uscita. Violenza da una parte, aspirazione al pentimento e ricerca di un conciliazione più forte dall’altra. Il finale di Dogman sembra volersi caricare di un forte simbolismo religioso che guarda in alto, oltre i confini del visibile. Ripetendo lo schema dello scontro tra romanticismo e violenza, Besson scalda il cuore del pubblico ma non evita il sospetto di una certa ripetitività. Film potente e importante, dove si impone la presenza di Caleb Landry Jones nel ruolo di Douglas, fin troppo bravo e carismatico. Da vedere e meditare con attenzione.

11 ottobre 2023