Don Andrea Santoro, in Turchia un ponte tra culture diverse
A Santa Croce in Gerusalemme la Messa nell’11° anniversario. Monsignor Feroci: «Conquistava spazi non con la spada ma col dialogo»
La Messa in ricordo del sacerdote presieduta da monsignor Feroci a Santa Croce in Gerusalemme: «Conquistava spazi non con la spada ma col dialogo»
Due colpi di pistola a interrompere il silenzio di una chiesa e la vita di un uomo che prega. Fu così, undici anni fa, che morì a Trabzon don Andrea Santoro, parroco al quale la diocesi di Roma aveva concesso di svolgere il suo ministero sacerdotale come “fidei donum” in Anatolia, terra che amava e in cui voleva ripercorrere la strada degli apostoli testimoniando Gesù, nel tentativo di aprire un dialogo tra ebrei, cristiani e musulmani. Il 5 febbraio 2006 era una domenica, stesso giorno dell’undicesimo anniversario della sua morte, in cui don Santoro è stato ricordato nella basilica di Santa Croce in Gerusalemme con una Messa, presieduta dal direttore della Caritas diocesana, monsignor Enrico Feroci, che gli era molto amico.
«Nella mente ho impresso un luogo e una data: Adana, 17 settembre 2003 – ha raccontato durante l’omelia -. Era l’ultimo giorno di un pellegrinaggio in Medio Oriente con i fedeli della parrocchia di San Frumenzio, di cui ero parroco. Lo guidava don Andrea, che ci ha aiutato a incontrare le piccole comunità cristiane della Turchia. Quel giorno eravamo in aeroporto, in attesa di tornare in Italia, ma lui era nell’altra sala pronto per recarsi a Trabzon e cominciare la sua nuova esperienza. In quel momento mi sono promesso che sarei tornato a trovarlo dove il Signore lo chiamava». E così fu a distanza di qualche tempo.
Monsignor Feroci con altri tre sacerdoti romani si recò nella nuova terra di missione di don Santoro. Un’esperienza che ricorda stringendo tra le mani il diario del viaggio scritto da uno dei sacerdoti che lo accompagnava: «Don Andrea era pacato, stringeva tra le mani il rosario nel tentativo di dissuadere le prostitute nelle hall dell’hotel, ma soprattutto voleva recuperare lo spazio perso dai cristiani in queste terre, non usando la spada ma il dialogo. Sapeva sopportare la solitudine e le provocazioni». Ecco perché, secondo monsignor Feroci, non è azzardato un paragone con San Paolo: «La sua predicazione non era basata sulla persuasione a tutti i costi ma sull’azione dello Spirito. Don Andrea si faceva ponte, metteva in comunicazione fratelli di culture diverse. Si è consumato per poter essere luce per la piccola comunità di Trabzon e per tutta la Chiesa».
Alla celebrazione eucaristica ha partecipato anche la sorella, Imelda: «In questi giorni si rinnova il dolore per la morte di Andrea e poi la gioia perché la sua morte ha portato frutto – ha raccontato -. Le persone che lo hanno conosciuto lo ricordano con molto affetto, ricordano i suoi insegnamenti e ne rimpiangono i rimproveri. Oggi ho rivissuto tutto il dramma di quel giorno, anche se dicono che adesso abbiamo un santo in paradiso. Mi dà gioia invece che sia stato coerente con la vita che ha scelto. Noi ci preoccupavamo perché era solo, ma quando tornava a Roma ci diceva che era lì a mettere un sassolino e che poi sarebbe venuto qualcun altro a metterne un altro. Lui era sereno. E questo ci tranquillizzava». Non c’era invece l’altra sorella, Maddalena, che anche quest’anno, in occasione dell’anniversario della morte di don Andrea, si è recata a Trabzon per ricordarlo nel luogo in cui è stato ucciso.
6 febbraio 2017