Fine vita, la centralità della “cura”

A San Pio X l’incontro con Flick, padre Faggioni, Casale, Sabatelli, per il II ciclo del Progetto Persona. L’ex presidente della Consulta: «Sia la legge a decidere»

Al centro la persona, che è tale fino all’ultimo istante della sua vita. Con l’analisi su un tema «delicatissimo, oggetto di dibattito in sede istituzionale e caro all’opinione pubblica», si è aperto ieri, 25 ottobre, il secondo ciclo del “Progetto persona”, la proposta di riflessione promossa dalla parrocchia San Pio X «che ci vede affrontare delle macro-tematiche che interessano la persona nella sua integralità e in dialogo con la contemporaneità», ha spiegato monsignor Andrea Celli, parroco della comunità della Balduina. Il titolo: “Il fine vita. La persona nel percorso terminale naturale e assistito”. Anche il giornalista Piero Damosso, moderatore della tavola rotonda, ha sottolineato come la serata sia stata l’occasione «per sdoganare un tema strategico».

A spiegare come attualmente in Italia «l’orientamento costituzionale è che c’è un diritto a morire ma non c’è un diritto a morire assistiti» è stato Giovanni Maria Flick, presidente emerito della Corte costituzionale, che ha osservato come tale mancanza normativa dipende anche «dalla mancanza di dialogo tra le due posizioni sul tema del fine vita: chi con rigore difende la sacralità della vita e chi in modo radicale difende la libertà di autodeterminarsi del singolo individuo». Per l’esperto, per il quale «su un tale fronte deve essere la legge e non il giudice a decidere», come società civile «dovremmo coltivare in primo luogo i valori di solidarietà e pluralismo», facendo emergere «il buon senso» affinché «prevalga l’ascolto reciproco, per trovare un reale punto di incontro tra queste due posizioni».

È invece il valore della «solidarietà» quello che ha posto al centro del suo intervento padre Maurizio Faggioni, ordinario di Bioetica all’Accademia Alfonsiana, riflettendo sul «tema della cura, che è prendersi a cuore l’altro in vista del bene comune», anche e soprattutto quando al termine della vita «la persona è disperata, depressa e isolata», considerando che queste condizioni causate dalla sofferenza per una fine colta come inevitabile «non rendono tale la libertà di scelta, che è propriamente libera quando non c’è coazione», ma ne rappresentano un necessario condizionamento. Sulla stessa linea Giuseppe Casale, presidente della Fondazione Antea e responsabile clinico dell’hospice del Campus Bio-Medico: «Le cure palliative – ha spiegato richiamando l’etimologia della parola “pallium” che significa “mantello” – cercano di proteggere la persona, controllando tutti i sintomi della malattia, che non sono solo quelli fisici ma anche quelli psicologici e spirituali, per farla vivere in maniera dignitosa fino all’ultimo momento e secondo i propri desideri». Anche Mario Sabatelli, direttore del Centro NeMO della Fondazione Policlinico Agostino Gemelli, ha osservato come «la chiave è antropologica» e quindi conta «capire che importanza ha l’esistenza» e «lo sguardo che noi abbiamo nei confronti del malato», perché è «la dimensione personale» ad essere «fondamentale», altrimenti si «disumanizza la medicina».

26 ottobre 2023