Francesco: «Lasciamoci stupire dall’amore di Dio»
L’esortazione pronunciata nell’omelia della Messa della Domenica delle Palme, con cui si sono aperti i riti della Settimana Santa. La seconda in tempo di pandemia, ha evidenziato il Papa nella preghiera dell’Angelus, ricordando le vittime dell’attentato in Indonesia
Lasciarsi stupire dall’amore di Dio per passare dall’ammirazione, che può essere solo mondana, all’apertura del cuore che rende possibile seguire Gesù. È stato il filo conduttore dell’omelia di Papa Francesco nella Messa della Domenica delle Palme con cui si sono aperti i riti della Settimana Santa, la più importante dell’anno liturgico. Commentando il repentino passaggio della folla dall’osannare Gesù nel suo trionfale ingresso a Gerusalemme al gridare “crocifiggilo” davanti a Pilato, il Papa si è chiesto: «Cosa è successo? Quelle persone seguivano più un’immagine di Messia che non il Messia. Ammiravano Gesù ma non erano pronte a lasciarsi stupire da Lui. Lo stupore è diverso dall’ammirazione. L’ammirazione può essere mondana, perché ricerca i propri gusti e le proprie attese; lo stupore, invece, rimane aperto all’altro, alla sua novità. Anche oggi tanti ammirano Gesù: ha parlato bene, ha amato e perdonato, il suo esempio ha cambiato la storia e così via. Lo ammirano ma la loro vita non cambia. Perché ammirare Gesù non basta. Occorre seguirlo sulla sua via, lasciarsi mettere in discussione da Lui: passare dall’ammirazione allo stupore».
E la cosa che ha stupito e continua a stupire dopo venti secoli è «il fatto che Lui giunge alla gloria per la via dell’umiliazione. Egli trionfa accogliendo il dolore e la morte, che noi, succubi dell’ammirazione e del successo, eviteremmo. Questo stupisce: vedere l’Onnipotente ridotto a niente». Poi la domanda che tanti forse ancora oggi si pongono: «Perché tutta questa umiliazione? Perché, Signore, ti sei lasciato fare tutto questo? Lo ha fatto per noi, per toccare fino in fondo la nostra realtà umana, per attraversare tutta la nostra esistenza, tutto il nostro male. Per avvicinarti a noi e non lasciarci soli nel dolore e nella morte. Per recuperarci, per salvarci. Gesù sale sulla croce per scendere nella nostra sofferenza». Una sofferenza che non si risparmia nulla. Gesù, ha detto il Papa, «prova i nostri stati d’animo peggiori: il fallimento, il rifiuto di tutti, il tradimento di chi gli vuole bene e persino l’abbandono di Dio. Sperimenta nella sua carne le nostre contraddizioni più laceranti, e così le redime, le trasforma. Il suo amore si avvicina alle nostre fragilità, arriva lì dove noi ci vergogniamo di più. E ora sappiamo di non essere soli: Dio è con noi in ogni ferita, in ogni paura: nessun male, nessun peccato ha l’ultima parola. Dio vince ma la palma della vittoria passa per il legno della croce. Perciò le palme e la croce stanno insieme».
Il Papa invita a chiedere «la grazia dello stupore» per evitare che la vita cristiana diventi «grigiore», che la fede diventi sorda e si scada «nei legalismi, nei clericalismi». Per farlo occorre alzare «lo sguardo alla croce. Riusciamo ancora a lasciarci commuovere dall’amore di Dio? Perché non sappiamo più stupirci davanti a Lui? Perché? Forse perché la nostra fede è stata logorata dall’abitudine. Ripartiamo dallo stupore – l’esortazione -, lasciamoci stupire da Gesù», come il centurione che è «l’icona più bella dello stupore» perché «si è lasciato stupire dall’amore».
Al termine della celebrazione il Papa ha pregato l’Angelus e ha ricordato che questa è la seconda Settimana Santa in tempo di pandemia: «L’anno scorso eravamo più scioccati, quest’anno siamo più provati – ha detto -. E la crisi economica è diventata pesante. In questa situazione storica e sociale, Dio cosa fa? Prende la croce. Gesù prende la croce, cioè si fa carico del male che tale realtà comporta, male fisico, psicologico e soprattutto male spirituale, perché il Maligno approfitta delle crisi per seminare sfiducia, disperazione e zizzania». Francesco ha invitato a seguire l’esempio di Maria, «prima discepola». E ancora: «Lungo la via crucis quotidiana, incontriamo i volti di tanti fratelli e sorelle in difficoltà: non passiamo oltre, lasciamo che il cuore si muova a compassione e avviciniamoci. Sul momento, come il Cireneo, potremo pensare: “Perché proprio io?”. Ma poi scopriremo il dono che, senza nostro merito, ci è toccato». Il Papa ha anche pregato «per tutte le vittime della violenza, in particolare per quelle dell’attentato avvenuto in Indonesia».
29 marzo 2021