Francesco: «Per favore, non dimentichiamoci dei poveri»
L’appello nell’omelia della Messa nella basilica di San Pietro, in occasione della Giornata mondiale. «La speranza cristiana ha bisogno di noi, del nostro impegno. Di cristiani che non si girano da un’altra parte». Il pranzo in Aula Paolo VI con 1.300 poveri
«Lo dico alla Chiesa, lo dico ai governi, lo dico alle organizzazioni internazionali, lo dico a ciascuno e a tutti: per favore, non dimentichiamoci dei poveri». Con questo appello Francesco ha concluso l’omelia della Messa celebrata nella Giornata mondiale dei poveri nella basilica di San Pietro, gremita di indigenti e dei volontari che li assistono quotidianamente. Una giornata in cui i segni del Papa sono stati estremamente concreti. Prima della celebrazione, ha benedetto 13 chiavi delle case in altrettanti Paesi come parte del progetto 13 Case per il Giubileo dell’Alleanza Famiglia Vincenziana con le persone senzatetto. Si tratta di chiavi in bronzo lunghe 30 centimetri, scolpite dall’artista cattolico Timothy Schmalz come gesto simbolico dell’impegno della Chiesa nella lotta contro la mancanza di alloggi in tutto il mondo. Dopo la Messa, il pontefice ha pranzato, come di consueto, con 1.300 poveri nell’Aula Paolo VI. Il pranzo, organizzato dal dicastero per il Servizio della carità, è stato offerto dalla Croce rossa italiana e al termine ogni persona ha ricevuto uno zaino offerto dai Padri Vincenziani con viveri e prodotti per l’igiene.
Nella sua omelia il Papa ha preso spunto dal Vangelo della domenica per parlare di angoscia e speranza. L’angoscia, ha detto, «è un sentimento diffuso nella nostra epoca, dove la comunicazione sociale amplifica problemi e ferite rendendo il mondo più insicuro e il futuro più incerto. Se il nostro sguardo si ferma soltanto alla cronaca dei fatti, dentro di noi l’angoscia ha il sopravvento. Anche oggi, infatti, vediamo il sole oscurarsi e la luna spegnersi, vediamo la fame e la carestia che opprimono tanti fratelli e sorelle che non hanno da mangiare, vediamo gli orrori della guerra, vediamo le morti innocenti. Davanti a questo scenario – ha osservato -, corriamo il rischio di sprofondare nello scoraggiamento e di non accorgerci della presenza di Dio dentro il dramma della storia. Così ci condanniamo all’impotenza; vediamo crescere attorno a noi l’ingiustizia che provoca il dolore dei poveri, ma ci accodiamo alla corrente rassegnata di coloro che, per comodità o per pigrizia, pensano che “il mondo va così” e “io non posso farci niente”. Allora anche la stessa fede cristiana si riduce a una devozione innocua, che non disturba le potenze di questo mondo e non genera un impegno concreto nella carità».
Ma Gesù «in mezzo a quel quadro apocalittico, accende la speranza. Spalanca l’orizzonte, allarga il nostro sguardo perché impariamo a cogliere, anche nella precarietà e nel dolore del mondo, la presenza dell’amore di Dio che si fa vicino, che non ci abbandona, che agisce per la nostra salvezza». Riprendendo l’immagine della pianta del fico citata da Gesù, Francesco ha ricordato che «allo stesso modo, anche noi siamo chiamati a leggere le situazioni della nostra vita terrena: laddove sembra esserci soltanto ingiustizia, dolore e povertà, proprio in quel momento drammatico, il Signore si fa vicino per liberarci dalla schiavitù e far risplendere la vita. E si fa vicino con la nostra vicinanza cristiana, con la nostra fratellanza cristiana. Non si tratta di buttare una moneta nelle mani di quello che ha bisogno – ha continuato -. A quello che dà l’elemosina io domando due cose: “Tu tocchi le mani della gente o butti la moneta senza toccarle? Tu guardi negli occhi la persona che aiuti o guardi da un’altra parte?”. Siamo noi i suoi discepoli, che grazie allo Spirito Santo possiamo seminare questa speranza nel mondo. La speranza cristiana, che si è compiuta in Gesù e si realizza nel suo Regno, ha bisogno di noi, ha bisogno del nostro impegno, ha bisogno di una fede operosa nella carità, ha bisogno di cristiani che non si girano da un’altra parte».
Il Papa ha raccontato di una foto in cui due coniugi, uscendo da un ristorante, ben vestiti, si giravano dall’altra parte per non guardare una povera stesa sul pavimento. «Questo succede ogni giorno. Domandiamoci: io guardo da un’altra parte quando vedo la povertà, le necessità, il dolore degli altri? Un teologo del Novecento diceva che la fede cristiana deve generare in noi “una mistica dagli occhi aperti”: non una spiritualità che fugge dal mondo ma, al contrario, una fede che apre gli occhi sulle sofferenze del mondo e sulle infelicità dei poveri per esercitare la stessa compassione di Cristo. Io sento la stessa compassione del Signore davanti ai poveri – ha domandato Bergoglio -, davanti a coloro che non hanno lavoro, che non hanno da mangiare, che sono emarginati dalla società? E non dobbiamo guardare solo ai grandi problemi della povertà mondiale ma al poco che tutti possiamo fare ogni giorno con i nostri stili di vita, con l’attenzione e la cura per l’ambiente in cui viviamo, con la ricerca tenace della giustizia, con la condivisione dei nostri beni con chi è più povero, con l’impegno sociale e politico per migliorare la realtà che ci circonda».
18 novembre 2024