Giacomo Poretti alla Lateranenese: «Cosa ce ne facciamo di un’anima nel 2024?»
Il monologo dell’attore all’inaugurazione dell’anno accademico, aperta con la dichiarazione ufficiale del cardinale Tolentino de Mendonça. Il rettore Amarante: «Un’università che non fa cultura e non dialoga con il mondo esterno diventa autoreferenziale»
Cantano tutti a un un’unica voce. L’inno liturgico gregoriano Veni Creator Spiritus risuona dolcemente nell’Aula Magna della Pontificia Università Lateranense. Come se ci fosse una sola anima a invocare il Signore. È iniziata così oggi, 13 novembre, l’inaugurazione dell’anno accademico dell’“ateneo del Papa”. E si è chiusa allo stesso modo. Con l’intonazione del Salve Regina, dopo che il cardinale José Tolentino de Mendonça, prefetto del dicastero per la Cultura e l’educazione, ha letto la dichiarazione ufficiale di apertura e ha ricevuto dal rettore una pergamena di ringraziamento.
Nel suo discorso, il porporato ha esortato a riscoprire la centralità del dialogo universale, che «deve essere intrapreso da ogni generazione». E a rimanere saldi nella tradizione per immergersi pienamente nella ricerca della verità e nelle sfide del futuro. «Dalle università pontificie – ha sottolineato Tolentino – ci si aspetta che non solo custodiscano la memoria dei tempi passati, ma che siano anche sonde del domani». Gli atenei della Chiesa, ha aggiunto, «si trovano oggi in un crocevia di possibilità culturali, scientifiche e sociali. Non possono vivere solo per sé stesse. Si potranno dunque sviluppare se promuoveranno ascolto e pratiche collaborative, e genereranno incontri tra persone e culture. Ciò – ha rimarcato – richiede un’intelligenza creativa, ma anche un discernimento fondato sui propri valori».
Il cardinale ha poi richiamato l’invito di Papa Francesco a leggere la realtà guardandola in faccia, senza le visioni ideologiche o parziali che alimentano soltanto l’illusione e la disillusione. In un mondo che sta attraversando «una crisi di cambio di epoca – ha detto -, nasce la missione delle università: formare discernimento per alimentare la speranza». Secondo Tolentino, «nel nostro sistema universitario c’è un’esagerata preoccupazione nel confrontarsi con il mondo presente. Dobbiamo dialogare con esso – ha esortato -, altrimenti rischiamo di non essere il sale e la luce del mondo». Il cardinale ha poi usato una metafora. «Gli atleti utilizzano lo slancio da dietro, perché senza di esso non troverebbero l’equilibrio e la stabilità per correre e per saltare. Lo stesso deve valere anche per le università – ha aggiunto -. Senza lo slancio della tradizione, rischiamo di rendere vani i nostri sforzi. Senza fedeltà al passato, non possiamo essere frequentatori del futuro. Abbiamo una grande sfida: anticipare le strade, rinnovare, sviluppare ipotesi di lavoro e trasmettere speranza all’essere umano». Senza dimenticare, ha concluso, che «il futuro non richiede solo un’intelligenza creativa, ma anche una collettiva».
Gli ha fatto eco l’arcivescovo Vincenzo Amarante, il rettore della Lateranense, che in apertura ha ringraziato i grandi cancellieri dell’ateneo che in questi mesi «hanno supportato il cammino»: il cardinale Angelo De Donatis, il cardinale Tolentino e l’arcivescovo Baldo Reina, che assumerà la carica il prossimo 8 dicembre – il giorno dopo aver ricevuto la porpora cardinalizia -, e che era presente al suo fianco al momento del canto gregoriano. Sulla scia di Tolentino, Amarante ha parlato di una duplice missione dell’università, o ancora meglio della sua anima: «Respirare a pieni polmoni e dialogare all’interno della Chiesa e in uscita». Il presule, in questo senso, ha mostrato i numeri dell’ateneo, che può contare su 1.137 studenti (ai quali vanno aggiunti i 434 del Centro di studi superiori), di cui 421 sono laici.
«Un’università che non fa cultura e che non dialoga con il mondo esterno, diventa autoreferenziale», ha sottolineato Amarante. Che ha esortato a guardare al futuro. «L’università del Papa deve puntare sempre in alto. Siamo chiamati a guardare non ai limiti ma alle possibilità, e ad avviare processi virtuosi più che occupare spazi». Infine, ha invitato a compiere tre passi: «Accrescere la proposta formativa, individuare nuove strategie di comunicazione e pianificare strategie di fundraising (raccolta fondi, ndr) per offrire sostegno agli studenti e alla ricerca».
Nella prospettiva di un dialogo universale e di una riscoperta delle radici della fede, si è mosso il monologo di Giacomo Poretti, componente del trio comico Aldo Giovanni e Giacomo. L’attore – che ha ricevuto anche lui una pergamena da Amarante – ha proposto un suo monologo intitolato “Per far un’anima”, che ha raccolto riflessioni su un “organo” non presente nei libri di atonomia, ma di cui si parla da sempre. «Non avrei pensato di essere introdotto in uno spettacolo da un canto gregoriano – ha scherzato il comico prima di iniziare, strappando risate -. Ammetto che le mie gambe fanno “Giacomo Giacomo”. Prima di venire qua ho fatto tutti i sacramenti possibili, alcuni anche due volte».
Quando si sviluppa l’anima in un essere vivente? Esiste realmente o è solo un desiderio? Ma soprattutto, anche se la scovassimo, che cosa ce ne facciamo di un’anima del 2024? Le domande che si è posto Poretti. «Se il mio algoritmo di Amazon non mi ha mai suggerito un’anima, vorrà dire che non ho bisogno», ha commentato scherzando. «Il progetto – ha spiegato l’attore – è nato insieme a mio figlio Emanuele. Padre Bruno, il sacerdote che ci ha sposati, ci disse: “Bene, avete fatto un corpo, ora dovete fare l’anima”. Questa frase mi è rimasta dentro per molto tempo, si è sedimentata finché non mi sono deciso ad affrontare la questione».
L’attore ha capito che «come l’amicizia e l’amore anche l’anima non si può misurare né individuare con una Tac, un mezzo di contrasto, e nemmeno con le analisi del sangue». E che, come gli ha consigliato padre Bruno, «per realizzarla e nutrirla veramente bisogna iniziare con il ringraziare il Padre Eterno ed essere sempre gentili con tutti». Infine, un pensiero ai sacerdoti e ai seminaristi, che «in quest’epoca dalla quale siamo in fuga dall’assoluto – ha concluso – cercano di tatuarci qualche cosa di prezioso. Vestiti di nero, ma talvolta eleganti e sgargianti quanto un influencer».
13 novembre 2024