Il Papa: «Come potremmo essere Chiesa sinodale senza riconciliazione?»
Concluso con una penitenziale, in San Pietro, il ritiro preparatorio del Sinodo dei vescovi, dal 2 ottobre. Tre testimonianze di peccato e le richieste di perdono lette dai cardinali
Una sincera e commossa richiesta di perdono per i peccati che deturpano il volto della Chiesa. Come il pubblicano al tempio, la parabola del Vangelo di Luca letta in occasione della veglia penitenziale che ha concluso il ritiro preparatorio del Sinodo dei vescovi, che si apre oggi, 2 ottobre, con la solenne concelebrazione a San Pietro. Una veglia, organizzata dalla Segreteria del Sinodo e dalla diocesi di Roma, in collaborazione con l’Unione dei superiori generali (Usg) e l’Unione internazionale delle superiori generali (Uisg), in cui sono risuonate le parole forti e accorate di tre testimonianze. Quella del baritono sudafricano Laurence Giel, abusato da un chierico quando aveva 11 anni. Quella di Sara Vatteroni, direttrice regionale Toscana della Fondazione Migrantes, insieme a Solange, originaria della Costa d’Avorio, sulla tragedia delle migrazioni. E quella di suor Deema Fayyad, originaria di Homs, la città siriana devastata dalla guerra. Una religiosa della comunità monastica di al-Khalil (l’amico di Dio) fondata nel 1991 nel monastero siro-cattolico di San Mosè l’Abissino dal gesuita padre Paolo Dall’Oglio insieme a Jacques Mourad.
Tre testimonianze di peccati e orrori, di morte e di sopravvivenza. Colpe per le quali Papa Francesco ha scritto personalmente delle richieste di perdono che sono state lette da sette cardinali: l’arcivescovo di Bombay Gracias, il prefetto del dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale Czerny, l’arcivescovo emerito di Boston O’Malley, il prefetto del dicastero per i Laici, la famiglia e la vita Farrell, quello del dicastero per la Dottrina della fede Fernandez, l’arcivescovo di Rabat Lopez Romero e quello di Vienna Schonborn. Peccati contro la pace, contro il creato, contro le popolazioni indigene, contro i migranti; peccato degli abusi; contro le donne, la famiglia, i giovani; peccato della dottrina usata come pietre da scagliare; peccato contro la povertà; infine, contro la sinodalità, la mancanza dell’ascolto, la comunione e partecipazione di tutti.
«Ho voluto scrivere le richieste di perdono che sono state lette da alcuni cardinali, perché era necessario chiamare per nome e cognome i nostri principali peccati», ha detto il pontefice nella sua riflessione. «Il peccato è sempre una ferita nelle relazioni: la relazione con Dio e la relazione con i fratelli e le sorelle. Nessuno si salva da solo, ma è vero ugualmente che il peccato di uno rilascia effetti su tanti: come tutto è connesso nel bene, lo è anche nel male. La Chiesa è nella sua essenza di fede e di annuncio sempre relazionale, e solo curando le relazioni malate possiamo diventare una Chiesa sinodale. Come potremmo essere credibili nella missione se non riconosciamo i nostri errori e non ci chiniamo a curare le ferite che abbiamo provocato con i nostri peccati?».
Francesco ha ricordato che molte volte nella Chiesa ci si comporta come il fariseo superbo: «Quante volte abbiamo occupato tutto lo spazio anche noi, con le nostre parole, i nostri giudizi, i nostri titoli, la convinzione di avere soltanto meriti? Noi oggi siamo tutti come il pubblicano, abbiamo gli occhi bassi e proviamo vergogna per i nostri peccati. Come lui, rimaniamo indietro, liberando lo spazio occupato dalla presunzione, dall’ipocrisia e dall’orgoglio».
È il modo per intraprendere la seconda parte del sinodo sulla sinodalità: «Come potremmo essere Chiesa sinodale senza riconciliazione? Come potremmo affermare di voler camminare insieme senza ricevere e donare il perdono che ristabilisce la comunione in Cristo? «Di fronte al male e alla sofferenza innocente domandiamo: dove sei Signore? Ma la domanda dobbiamo rivolgerla a noi, e interrogarci sulle responsabilità che abbiamo quando non riusciamo a fermare il male con il bene», ha proseguito il Papa, secondo cui «non possiamo pretendere di risolvere i conflitti alimentando violenza che diventa sempre più efferata, riscattarci provocando dolore, salvarci con la morte dell’altro. Come possiamo inseguire una felicità pagata con il prezzo dell’infelicità dei fratelli e delle sorelle?».
Alla vigilia dell’inizio dell’Assemblea del Sinodo, nelle parole del Papa, «la confessione è un’occasione per ristabilire fiducia nella Chiesa e nei suoi confronti, fiducia infranta dai nostri errori e peccati, e per cominciare a risanare le ferite che non smettono di sanguinare. Noi abbiamo fatto la nostra parte, anche di errori. Continuiamo nella missione per quello che possiamo, ma ora ci rivolgiamo a voi giovani che aspettate da noi il passaggio di testimonianza, chiedendo perdono anche a voi se non siamo stati testimoni credibili», ha concluso Francesco prima di elevare la preghiera finale.
2 ottobre 2024