Il virus ci ricorda: siamo tutti connessi
La reazione più ovvia sarebbe pensare che se non ci fosse tutta questa interconnessione avremmo meno pericoli. Ma chiediamoci se questo è il mondo che vogliamo, con meno diversità e meno libertà
“Coronavirus” è in questi giorni la parola più ricorrente nei nostri discorsi, nei media, ovunque. Un virus che si è diffuso velocemente in un angolo del mondo ci sta facendo toccare con mano che “tutto è connesso”. Attraverso gli spostamenti, che ormai sono globali e veloci, il coronavirus può diffondersi molto velocemente. Nello stesso tempo anche le misure precauzionali, e le scoperte sulle possibili cure e i progressi nella medicina si possono condividere a livello globale, e questo fa aumentare la prontezza della risposta.
Ma il contagio non è solo fisico: c’è un contagio di ansia e di paura, e lo stiamo vedendo. A volte anche ingiustificato. Un contagio che si basa su percezioni e allarmismi e può creare discriminazioni. C’è poi un contagio economico e finanziario, le cui conseguenze non tarderanno a farsi sentire pesantemente. E il contagio economico è amplificato dalle paure. Diverse zone della Cina sono isolate e in quasi tutta la Cina c’è un fermo alle attività produttive e ai trasporti. La maggior parte delle compagnie aeree hanno cancellato i voli diretti da e per la Cina. Tutto ciò ha comportato immediatamente un calo del prezzo del petrolio, ma anche ripercussioni a catena su chi importa beni e servizi dalla Cina. Alcune grandi imprese saranno costrette a fermare la produzione per mancanza di componenti. Questo significa un rallentamento repentino dell’economia che, se permane per lungo tempo, vorrà dire chiusure di aziende, perdita di posti di lavoro. Anche chi esporta prevalentemente in Cina ora potrebbe subire i contraccolpi di un rallentamento. Per non parlare del settore turistico (alberghi e ristoranti, beni caratteristici, trasporti) che subirà le conseguenze più pesanti di questa situazione. Si prevedono miliardi di perdite in questo ambito.
Un virus tanto minuscolo da essere invisibile all’occhio umano ci mostra quanto dipendiamo gli uni dagli altri. La reazione più ovvia sarebbe quella di pensare che se non ci fosse tutta questa interconnessione avremmo meno pericoli. Ma, fermo restando il fatto che sarebbe pressoché impossibile tornare – se mai fosse realmente esistito – a un mondo in cui difficilmente ci si sposta da un Paese all’altro, chiediamoci se questo è il mondo che vogliamo. Un mondo dove gli scambi di beni e servizi vengono ridotti, così come viaggi e spostamenti.
Sarebbe un mondo con meno libertà, meno incontri, meno diversità. E la diversità, così come la biodiversità, sono fondamentali per generare vita e relazioni. Ma quello che ci sta mostrando il coronavirus è anche quanta cooperazione esiste nel mondo, quanto lavoro viene fatto da mani differenti perché un oggetto arrivi a casa mia. Quando tutto funziona neanche ce ne accorgiamo: riceviamo un pacco di libri dall’estero, ci vestiamo, mangiamo, usiamo oggetti. In una tazza di caffè bevuta in casa può esserci la cooperazione e il lavoro di persone di tutto il mondo. Il mio lavoro può arrivare ben oltre il luogo fisico in cui sto lavorando. Un piccolissimo virus ci fa ricordare che siamo tutti connessi.
24 febbraio 2020