«La famiglia Bélier», la sordità in commedia
Nel film la capacità di descrivere ogni momento come se l’handicap non esistesse. Gran lavoro di preparazione degli attori, bravi tutti
Nel film la capacità di descrivere ogni momento come se l’handicap non esistesse. Gran lavoro di preparazione degli attori, bravi tutti
Forse non è compito del cinema risolvere i problemi, ma provare a indicare una strada è invece cosa più possibile. Come accade ne La famiglia Bélier, uscito nelle sale lo scorso fine settimana. Clamoroso successo di pubblico in Francia, il film mette al centro, appunto, la famiglia Belier, un nucleo familiare anomalo, dove tutti sono sordomuti tranne Paula, 16 anni, che svolge il ruolo indispensabile di collegamento tra sé, i genitori, il fratello più piccolo e, in senso più ampio, la gestione della fattoria di famiglia. Un giorno a scuola il professore di musica Thomasson, nel fare alcune prove con gli alunni, è colpito dalla naturale piacevolezza della voce di Paula, e la incoraggia a presentarsi al concorso canoro annuale indetto da Radio France.
La ragazza si trova così di fronte ad una scelta per niente semplice, che implica l’allontanarsi da casa e prepararsi a una vita diversa. Sarebbe giusto a questo punto fermarsi e lasciare allo spettatore il gusto di scoprire l’esito finale. Non si sottrae niente alla piacevolezza del racconto, se si dice che ogni momento di questo diario è scandito dalla importanza sempre maggiore che vi assume il nucleo familiare, la sua capacità di restare unito, compatto, stretto intorno alle necessità prospettate dalla vita di ogni giorno. I motivi del grande successo in patria sono essenzialmente due: il primo è la capacità di descrivere ogni momento come se l’handicap non esistesse.
Questo consente per esempio a Rodolphe, il padre, di trascurare la propria situazione e decidere di presentarsi come candidato alle elezioni per il nuovo sindaco del paesino. La campagna elettorale è condotta da Rodolphe senza il minimo imbarazzo e convinto di potercela fare. Il secondo, gli sbalzi di umore lungo i quali corre il passaggio di Paula dall’adolescenza all’età adulta. Qui subentra uno sguardo di decisiva delicatezza col quale il racconto costeggia gioia e preoccupazione, serenità e nervosismo, realtà e fantasia in un caleidoscopio di umorale cromatismo. Davvero Paula è una che troppo presto ha dovuto fare l’adulta e ora vorrebbe tornare ragazzina ma ne ha quasi paura.
A saldare questi due aspetti c’è una cornice che riesce con coerenza e misura a fondere commedia e tragedia, senza cioè mai prediligere il dramma o lasciare spazio al lamento. La felicità del ritrovarsi tutti insieme nella pienezza della famiglia come libera e consapevole scelta è il premio migliore che fa superare ostacoli e difficoltà. Sotto il profilo strettamente tecnico, va naturalmente rilevato il gran lavoro di preparazione degli attori per calarsi nei panni degli audiolesi. Bravi tutti, soprattutto ad annullare la differenza tra i «normali» e gli «altri». Che non ha motivo di esistere.
30 marzo 2015