L’attore Cesare Bocci: «A mia moglie dissero: “Non camminerai più”»

Al Gemelli, presenti l’attore co-protagonista del Commissario Montalbano e Daniela Spada: «I pazienti hanno bisogno di relazioni» 

Al Gemelli, presenti l’attore co-protagonista del Commissario Montalbano e Daniela Spada: «I pazienti hanno bisogno di relazioni» 

Di relazioni, non di assistenzialismo hanno bisogno le persone disabili che entrano in ospedale. Questo è emerso dal convegno su “I diritti, negati, delle persone con disabilità” promosso dal Centro di Ateneo di Bioetica e dal Centro per la Vita dell’Università Cattolica che ha avuto luogo ieri pomeriggio, 15 giugno, nella Sala Morgagni del Policlinico Agostino Gemelli. Intensa la testimonianza dell’attore Cesare Bocci, coprotagonista della fiction tv “Montalbano” nei panni del commissario Augello, che con la moglie Daniela Spada ha presentato il libro “Pesce d’aprile”, scritto a quattro mani.

A seguito di un ictus, ad una settimana dal parto, la donna venne inserita in un protocollo «che non teneva conto in alcun modo della sua personalità vivace»: sfruttando la sua verve comica, l’artista ha voluto evidenziare i limiti di una terapia standardizzata che «imbrigliava Daniela abituata, fino a quel giorno, ad andare a cavallo, a sciare, a danzare». Ci sarebbe stato bisogno di ascolto e dialogo tra le parti «e invece arrivavano sentenze – ha ricordato Bocci-: Sua moglie non camminerà più, si rassegni, i medici siamo noi».

Lui non molla: capisce di dover dare fiducia
alla moglie, spronandola, senza fermarsi alle parole «di quel dottore disfattista» che oggi sbeffeggia con simpatia. Daniela recupera e già due anni dopo l’evento si riprende la sua vita, sulle sue gambe: «Ho avuto la possibilità di non fermarmi – racconta felice -: ho aperto la mia scuola di cucina, mi sono creata un lavoro» date le difficoltà, e le azioni di emarginazione sociale, che incontra ogni giorno una persona affetta da disabilità. «Anche in ospedale il malato disabile è discriminato – ha asserito, dati alla mano, il professor Nicola Panocchia, coordinatore del Comitato scientifico della Fondazione Agostino Gemelli-: rispetto agli altri pazienti, infatti, viene valutato diversamente, rischia di vedersi negata la cura e di essere trattato in modo irrispettoso».

Ecco il motivo del progetto “Carta dei diritti delle persone con disabilità in ospedale” nato nel 2010, e diffuso a livello nazionale nel 2014, da un’esperienza vissuta, «quella di Tiziana – spiega Panocchia -, una ragazza con disabilità che viveva in casa famiglia, che capiva con tanta fatica e con ancor più fatica si esprimeva». A seguito di un ricovero, nel 2004, la donna contrae una polmonite, per lei fatale: «Non comunicava in modo normale – ha proseguito Panocchia – difficile quindi per gli infermieri somministrare la terapia, ascoltarla mentre la mattina cerca di dire “ho freddo con le finestra aperte a novembre”».

Nel rapporto con il paziente, specie se affetto da disabilità, l’ascolto dei suoi bisogni risulta quindi fondamentale per individuare «una cura che vada nella direzione dell’inclusione, non della semplice compassione» ha ammonito il professor Adriano Pessina, direttore del Centro di Bioetica dell’Università Cattolica che nella sua relazione ha dimostrato quanto i pregiudizi, provocatoriamente chiamati “barriere mentali”, condizionino l’azione medica «portandoci a credere che le persone disabili necessitino di diritti speciali, mentre si tratta unicamente di diritti», quelli da garantire a ciascun paziente.

Della stessa opinione Filippo Ghelma, responsabile dell’Unità Operativa Dama (disabled advanced medical assistance) dell’Ospedale San Paolo di Milano: «Studiamo percorsi realmente percorribili – ha spiegato – : domandandoci non “se” ma “come” possiamo agire, scegliendo la soluzione migliore per quel paziente, in quel momento». All’attenzione alla singola persona aveva richiamato, in apertura dei lavori, anche monsignor Claudio Giuliodori, assistente ecclesiastico generale dell’Università Cattolica evidenziando «la necessità di garantire quella vicinanza capace di vera rigenerazione», fornendo risposte adeguate alla sofferenza «come faceva Gesù coi malati: non prendendo in cura ma conferendo senso all’esistenza».

 

16 giugno 2017