“Linea nigra”: Barrera e la gravidanza
Cosa significa diventare madre e la sperimentazione di una sorta di respiro cosmico: «Una parte di me sta costruendo qualcun altro». Un possibile radicamento esistenziale
Nel Quaderno dei fari (2017), opera eccentrica e intrigante a metà strada fra il memoir e il saggio letterario, Jazmina Barrera, nata a Città del Messico nel 1988, confessava a se stessa di sentirsi molto spesso alla deriva: «Per questo l’immagine del marinaio perso in alto mare mi sembra così angosciante». La gravidanza si annunciava quindi per lei alla maniera di un possibile radicamento esistenziale: Linea nigra (pp. 161, La Nuova Frontiera, traduzione di Federica Niola), diario quotidiano di tale esperienza, scopre tuttavia qualcosa di più.
Il titolo, allusione diretta al segno verticale di colore scuro che si nota spesso sull’addome delle donne incinte a partire dal terzo mese, corrisponde infatti anche all’alterazione psicofisica vissuta dalla protagonista, dal momento in cui i dottori le dicono che il piccolo Silvestre si sta formando nella sua pancia. Cosa significa allora diventare madre? «Non riesco a togliermi dalla testa l’idea che mezza umanità ha affrontato questa cosa». E perché in certe lingue indigene ci sono tanti modi per definire la parola, compreso quella che designa la donna che non può avere figli? La scrittrice, mentre conferma la propria forte attitudine tassonomica nel serrato riscontro con alcune grandi testimoni del passato, da Tina Modotti a Frida Kahlo, da Virginia Woolf a Natalia Ginzburg, da Arbus a Sylvia Plath, avanza nel buio, quasi sperimentando un respiro cosmico: «Una parte di me sta costruendo qualcun altro». Poco oltre: «Parlo al plurale. Se mi chiedono come sto, rispondo ”stiamo bene”». Eppure, se fosse vero come pensa Pascal Quignard che i feti sognano già prima di aver visto la luce e piangono quando sono ancora all’interno del liquido amniotico, essi avrebbero già un’impressionante autonomia.
Ecco finalmente i giorni del parto: «Non avevo mai provato così tanto dolore, così tanta paura e così tanta stanchezza in vita mia. Non avevo mai provato neanche così tanto sollievo, in tutti i sensi della parola, così tanta liberazione, così tanta leggerezza, come quando me lo hanno messo sul petto e siamo rimasti a guardarci in silenzio». Jazmina racconta poi i primi tempi dello svezzamento, a cui collabora anche il compagno Alejandro, senza trattenere l’inquietudine rappresentata dai frequenti terremoti messicani e dalla grave malattia della nonna del nascituro, pittrice a cui capita di vedere frantumati i propri quadri durante il sisma. Nella sezione finale l’autrice rievoca una leggenda presente nel Codice fiorentino, celebre fonte della lingua atzeca n huatl, secondo la quale i neonati prematuramente scomparsi nei primi mesi, anziché precipitare nella regione fredda e spaventosa dei morti (Mictlàn) «vanno nella casa di Tonacatecuhtli; vivono intorno all’albero della nostra carne». Del resto, sottolinea Barrera, «la parola “materia” non ha forse la stessa radice etimologica della parola ”madre”: mater?»
4 ottobre 2022