In marcia lungo le strade della deportazione degli ebrei romani
“Non c’è futuro senza memoria”: lo slogan dell’iniziativa organizzata da Sant’Egidio e Comunità ebraica. Dureghello: «Se c’è chi pensa ancora di poter fare una marcia su Roma vuol dire che c’è ancora tanto da fare»
Bambini, giovani, anziani, italiani e stranieri, autorità civili e militari hanno dato vita ieri sera, domenica 15 ottobre, alla 23ª marcia silenziosa in memoria della deportazione degli ebrei di Roma, avvenuta sabato 16 ottobre 1943. 1.024 i deportati nei campi di concentramento di Auschwitz-Birkenau, tra i quali oltre 200 bambini. Solo 15 uomini e una sola donna, Settimia Spizzichino, tornarono a casa. L’unico ancora in vita è Lello Di Segni di 91 anni.
Dal 1994 la Comunità di Sant’Egidio e la Comunità ebraica di Roma organizzano ogni anno la manifestazione per non dimenticare quei tragici eventi. In testa al corteo un gruppo di bambini portava uno striscione con scritto “La pace è il futuro”. Dietro di loro un altro striscione blu recitava “Non c’è futuro senza memoria”. Il corteo, partito da piazza Santa Maria in Trastevere, ha raggiunto largo 16 ottobre 1943, accanto al Tempio maggiore, percorrendo a ritroso il tragitto compiuto dai deportati. Di questa marcia silenziosa sono «figlie numerosissime marce in tutta Europa promosse dalla Comunità di Sant’Egidio» ha affermato monsignor Marco Gnavi, parroco di Santa Maria in Trastevere, evidenziando che si tratta di un «grande movimento di sensibilità e cultura, una rivolta vera contro il male e l’assurdo del razzismo e antisemitismo che oggi vediamo pericolosamente riaccendersi. Essere qui significa dire di amare la comunità ebraica di cui siamo fratelli». Nelle mani dei partecipanti, a fare da sfondo, i cartelli con i nomi di diversi campi di concentramento: Auschwitz a Bergen-Belsen ma anche Ravensbrück, Risiera di San Sabba e Sachsenhausen.
A largo 16 ottobre 1943 erano presenti, tra gli altri, Sami Modiano, reduce della Shoah, e il comandante dell’Arma dei carabinieri Tullio Del Sette. «Non c’è nulla di più spaventoso dell’annientamento di un uomo perpetrato da un altro uomo – ha detto il presidente del Senato Pietro Grasso -. Troppo pochi difesero gli ebrei e scelsero di non voltarsi dall’altra parte. Dobbiamo ricordare, a patto che la memoria sia l’avvio di un impegno civile diffuso e quotidiano». Per Riccardo Di Segni, rabbino Capo di Roma, che ha ricordato le storie di alcuni deportati che non hanno fatto ritorno a casa, oggi ricordare significa «ricostruire la nostra società che sta perdendo gli anticorpi. Per questo motivo bisogna vigilare e mantenere viva la memoria».
A 74 anni dal rastrellamento è ancora importante ricordare perché «in Europa accadono fatti inquietanti e si svegliano fantasmi che credevamo sepolti, come il fascismo, il neonazismo, il razzismo e l’antisemitismo: parole che non credevamo di dover risentire» ha dichiarato Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, il quale ha ricordato anche il rabbino Elio Toaff, morto nel 2015. «La folle strategia assassina che mai troverà giustificazione alcuna» non deve essere dimenticata per il sindaco Virginia Raggi, «soprattutto quando ancora oggi qualcuno minaccia di fare marce a Roma. Dobbiamo combattere contro ogni forma di prevaricazione, razzismo e antisemitismo anche strisciante. Il 16 ottobre ‘43 è una data che riguarda tutta la città, non solo gli ebrei, è una data che dobbiamo curare per costruire la pace e sviluppare la memoria affinché il futuro sia migliore del passato».
Dal 22 al 24 ottobre, nell’ambito delle iniziative organizzate per la Giornata della memoria, si svolgerà anche un viaggio di formazione a Varsavia-Lublino sui luoghi della Shoah, promosso dalla Regione Lazio e rivolto ai docenti delle scuole superiori, ha ricordato il governatore Nicola Zingaretti. La memoria va preservata perché «le ragioni dell’odio sono ancora vive e vanno combattute a viso aperto. Consideriamo un’onta aver anche solo pensato e teorizzato che si possa tornare a celebrare il 28 ottobre con manifestazioni nefaste come la marcia su Roma». Per Ruth Dureghello, presidente della Comunità Ebraica di Roma, «oggi c’è un po’ di preoccupazione perché se c’è chi pensa di poter fare una marcia su Roma e che il fascismo rappresenti un modello da imitare vuol dire che c’è ancora tanto da fare».
La strada da percorrere, per il vescovo Ambrogio Spreafico, presidente della Commissione Cei per il dialogo interreligioso, è quella segnata dallo stare insieme, come dimostra proprio la marcia che ha visto sfilare insieme ebrei e cristiani: un evento che «ricorda il dolore del passato ma fa nascere l’impegno per continuare l’uno accanto all’altro. Saremo sempre con la comunità ebraica – le parole del presule – perché vogliamo costruire un mondo senza divisione. Il nostro stare insieme è un messaggio di vita e convivenza, è una ferma risposta all’antisemitismo e a ogni forma di razzismo e separazione».
16 ottobre 2017