“Mediaetica”, ovvero l’informazione come servizio

Andrea Melodia, presidente Ucsi, spiega le finalità dell’Osservatorio nato dall’associazione. Il dibattito nella sede de La Civiltà cattolica

Andrea Melodia, presidente Ucsi, spiega le finalità dell’Osservatorio nato dall’associazione. Il dibattito nella sede de La Civiltà cattolica

«Impegno, conoscenza di linguaggio e una formazione professionale permanente». Sono, questi, alcuni dei pilastri su cui si fonda o, meglio, dovrebbe fondarsi il giornalismo. Se ne dice convinto Andrea Melodia, presidente nazionale dell’Unione cattolica stampa italiana (Ucsi): «È un mestiere a servizio degli altri e le cui motivazioni etiche vanno cercate superando una generica volontà di fare bene». Come a dire che non è sufficiente la “bella parola” ma occorre, invece, «consolidare» i principi etici «all’interno della pratica professionale per svolgere un servizio che sia realmente a favore dei lettori». Melodia spiega, in proposito, come si inserisce nelle questioni di attualità l’Osservatorio Mediaetica voluto dall’Ucsi e da lui presieduto. Gettando lo sguardo al contingente, ad esempio, prova a spiegare come i giornalisti dovrebbero raccontare la crisi: domanda a cui ha tentato di dare risposta anche il convegno su “Come i giornalisti raccontano la crisi. La mediaetica come metodo”, nel pomeriggio di sabato 11 aprile nella sede de “La Civiltà Cattolica”, la rivista dei gesuiti italiani, e a cui – tra gli altri – ha preso parte lo stesso Melodia.

Nella sostanza, dinanzi alle crisi moderne su cui pesa il problematico rapporto tra le diverse culture e religioni, il “metodo Mediaetica” si propone di approfondire tali tematiche e, da lì, sviluppare precise competenze. C’è di più: il giornalista «non può più solo raccontare ma deve dare spunti di riflessione, senza per questo arrivare a caricare la notizia di sovrastrutture». Perché, certo, il rischio di riportare in modo filtrato le notizie esiste ma, ciò nonostante, «il giornalista non può evitare di dare una sua visione».

Nato più di due anni fa, l’Osservatorio Mediaetica organizza dibattiti pubblici: «Come Ucsi la nostra idea è di non rivolgerci solo ai giornalisti veri e propri», quelli iscritti agli albi professionali per intenderci, «anche perché ormai esiste un giornalismo diffuso che si attua attraverso i social media, sovrabbondanti di notizie». Anzi, sulla questione, Melodia denuncia il crescente precariato dei giovani giornalisti «sempre più sottopagati», che nel tempo potrà portare a svuotare la professione del suo compito di controllore della classe politica e di garante della democrazia nel quotidiano.

Se tutto questo è vero per il settore privato, all’esame non può sfuggire il servizio pubblico radiotelevisivo: «Il suo modo di fare informazione va cambiato». L’esempio con cui Melodia, ex dirigente Rai, spiega la secca affermazione arriva dai dibattiti che in tv presentano i politici agguerriti l’uno contro l’altro: la politica, lontana dalla sua nobile accezione, «viene vissuta sempre come scontro e non come volontà di superare i problemi». Una informazione fatta così non è utile «perché non è al servizio del pubblico». La priorità è allora chiara e altrettanto chiara la ricetta: «Fare in modo che la questione Rai sia allontanata dai partiti per creare un circolo virtuoso tra il rilancio culturale dell’Italia e un programma di formazione permanente legato alla scuola che aiuti a ricostruire il rapporto di fiducia tra Paese e politica. Soprattutto, che quest’ultima cessi di occupare tutti gli spazi per lasciarne anche ai corpi intermedi». Difficile a farsi? «Basta volerlo».

13 aprile 2015