Rifugiati: l’urgenza di «saper ascoltare e prendersi cura»

Alla Gregoriana il colloquio sulle migrazioni promosso dal Centro Astalli, in vista della Giornata mondiale del 20 giugno. L’arcivescovo Fisichella a confronto con l’economista Boeri. «Il condono del debito ai Paesi più poveri, unica via percorribile»

Chi fugge dalla guerra, dalle persecuzioni, da regimi che negano i diritti umani, non deve correre il rischio di «cadere in nuove forme di violenza perpetrata dalla criminalità e dalla malavita anche nel Paese che lo accoglie. Siamo vigili, assumiamoci l’impegno affinché questo non accada». L’arcivescovo Rino Fisichella, pro-prefetto del dicastero per l’evangelizzazione, lancia un appello a «credenti e non» affinché si diffonda la cultura della cura e dell’accoglienza. Il presule è intervenuto ieri sera, 13 giugno, al colloquio sulle migrazioni “Rifugiati: lottatori di speranza, seminatori di pace” promosso dal Centro Astalli e dalla facoltà di Scienze sociali della Pontificia Università Gregoriana in vista della Giornata mondiale del rifugiato, che si celebra il 20 giugno.

L’invito di Fisichella è scaturito dalla testimonianza di Farusa, rifugiata somala fuggita da Mogadiscio a causa della guerra. Con la voce a tratti rotta dall’emozione ha descritto il «viaggio durissimo» che l’ha condotta in Italia dopo aver attraversato vari Paesi e il deserto. Ha rievocato i lunghi tragitti «chiusi al buio in un pick up con mani e piedi legati», le botte, le minacce, le giornate senza cibo né acqua e i cinque giorni in alto mare su un gommone in avaria. Supportata dal Centro Astalli ora è operatrice socio-sanitaria.

L’arcivescovo ha rilanciato le sollecitazioni di Papa Francesco «sulla capacità di creare una cultura dell’incontro autentica che permetta ai rifugiati di sentirsi realmente a casa». Un obiettivo che dovrebbe realizzarsi spontaneamente in una città come Roma, «da sempre definita patria comunis». Sull’onda dell’emozione la generosità è immediata ma la «gravissima patologia dell’oblio» contagia tutti. «Attenzione – ha detto Fisichella -: non possiamo essere solo coloro che prestano il primo soccorso ma dobbiamo essere capaci di prenderci cura dei rifugiati fino a quando non hanno una nuova vita. In un mondo dove la violenza sembra essere il denominatore comune, bisogna saper ascoltare e prendersi cura con costanza».

Nella bolla di indizione del Giubileo “Spes non confundit” il Papa ha chiesto alle nazioni benestanti di condonare i debiti dei Paesi poveri. A tal proposito l’economista Tito Boeri, collegato da remoto, ha spiegato che questa potrebbe essere l’unica strada percorribile. «Un Paese oppresso dal debito non sarà mai in grado di estinguerlo, rischierebbe di indebitarsi ulteriormente – ha detto -. Azzerarli conviene anche ai creditori perché questo può creare le giuste condizioni per cui il Paese può accedere al mercato dei capitali, trovare i finanziamenti e tornare a crescere». L’economista si è poi soffermato sull’importanza di «investire sull’integrazione», perché a fronte di «una situazione demografica tragica, l’Italia ha drammaticamente bisogno di migranti. Sono una risorsa importante per l’economia del nostro Paese».

L’incontro, moderato dal giornalista de Il Sole 24 Ore Carlo Marroni, ha unito più aspetti. «Quello dei rifugiati – ha detto padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli -; quello del Giubileo, che rimanda a un cammino di rinnovamento interiore che sa guardare lontano, perché impara a guardare con gli occhi di Dio; e, infine, il piano economico, che non può essere disumanizzante e non può più permettersi che gli effetti di un sistema siano milioni di persone scartate, senza patria e senza futuro, gravate da un debito schiavizzante». Il colloquio sulle migrazioni è stato aperto dai saluti di padre Mark Lewis, rettore dell’Università Gregoriana, ateneo multiculturale dove «ogni giorno gli studenti vivono e praticano l’incontro e l’integrazione».

14 giugno 2024