Il vescovo Clemente Riva ricordato in un convegno all’Eur
“Al centro della città metterei l’uomo” il titolo dell’iniziativa ai Santi Pietro e Paolo. Monsignor Lojudice: «Aveva una profonda intelligenza teologica e umana»
“Al centro della città metterei l’uomo” il titolo dell’iniziativa promossa dalla parrocchia Santi Pietro e Paolo. Monsignor Lojudice: «Aveva una profonda intelligenza teologica e umana»
Era il 1985 e, a proposito di Roma, monsignor Clemente Riva, rosminiano, per anni vescovo ausiliare del settore Sud della diocesi, scriveva: «Non una croce, non una Chiesa. Al centro metterei l’uomo, una visione dell’uomo. Con tutte le sue potenzialità e i suoi bisogni, le esigenze e le aperture». Una visione che torna attuale trent’anni dopo, perché figlia di una profonda riflessione nata dopo il Convegno diocesano del 1974, sulle “aspettative di carità e giustizia dei cristiani di Roma”, di cui Riva fu uno dei protagonisti. Della sua figura, del suo carattere e delle sue riflessioni si è parlato ieri, 25 giugno, nel convegno organizzato dalla parrocchia Santi Pietro e Paolo all’Eur, in collaborazione con l’Accademia degli Incolti.
«Nella nostra città ci sono state tante belle figure – ha ricordato il parroco, padre Francesco Bartolucci – e Riva appartiene al tesoro di questa città e a questa diocesi. Per noi è la luce in cima alla montagna e dovremo attingere dalle sue parole».
Nel corso del convegno è stata ricordata la figura del presule sia nel privato sia nel pubblico: «Aveva una regola fondamentale – ha sottolineato Giuseppe De Rita, presidente del Censis e amico di Riva –, le norme si rispettano. La sua era una figura semplice, anche dal punto di vista economico: versava tutto il suo stipendio alla Diocesi di Roma. Un uomo all’apparenza povero fuori e rigido dentro, ma in realtà era esattamente il contrario. Per lui doveva esserci una continuità tra il rapporto con Dio e i gesti della vita quotidiana. In pochi l’hanno conosciuto privatamente: aveva una reazione istintiva di difesa dei suoi valori fondamentali. Però – ricorda sorridendo de Rita – te lo potevi comprare con la trippa alla romana: l’adorava».
Monsignor Andrea Manto, direttore del Centro diocesano per la pastorale sanitaria, ha voluto sottolineare il compito del credente nell’evangelizzazione, riprendendo proprio le parole del libro di Riva: «Ognuno deve assumerlo come compito imprescindibile – ha detto – perché, come ci dice Riva nel suo testo, bisogna recuperare la centralità dell’uomo inteso come una cosa sola tra corpo e spirito, l’uomo come vera e prima ricchezza dell’umanità. Se l’uomo diventa strumento di politica o del sistema economico allora perde, alla fine tutto torna indietro come un boomerang. Riva ci ammonisce, ci insegna che bisogna trasmettere alle nuove generazioni il messaggio della vita, che bisogna prendersi cura amorevolmente di chi è più fragile. Ci invita a guardare soprattutto chi è più vicino a noi. Dobbiamo pensare che il nostro compito fondamentale è portare agli uomini la salvezza di Cristo, ciascuno come battezzato e tutti insieme come popolo di Dio, come suo prolungamento nella storia. Se non siamo questo, siamo una realtà ancorata».
A concludere il convegno, monsignor Paolo Lojudice, vescovo ausiliare di Roma per il settore Sud, che ha conosciuto personalmente Riva quando era vice parroco nella parrocchia di San Vigilio, al Tintoretto: «Di lui ricordo una disarmante semplicità, unita ad una robusta e profonda intelligenza teologica e umana. Ricordo il suo sorriso, delicato e rassicurante. Ma ciò che mi è rimasto maggiormente impresso sono state le sue parole quando, diventato parroco, mi affidarono la chiesa di Santa Maria Madre del Redentore, nel quartiere di Tor Bella Monaca. Mi disse: “Troverai un popolo di Dio ancora più vivo, perché più sofferente, ma avrai la possibilità di portare un vangelo più vero e più concreto”. Ed aveva ragione, perché è ciò che ho trovato in un contesto difficile e delicato. E se in quel contesto sono stato il parroco che sono stato, sicuramente un po’, lo devo anche a lui».
26 giugno 2015