Sant’Egidio riporta “La voce dei bambini sulla guerra”
In mostra al Palazzo delle Esposizioni i disegni dei bimbi delle Scuole della Pace, a cura dalla coordinatrice Cervogni. Impagliazzo: dai piccoli «parole vere e lucide»
Per Milana, 8 anni, la guerra nel Donbass è «una pioggia di bombe». Anya, 10 anni, di Torec’k, ha «paura dei carri armati perché distruggono le case». Tatiana, 6 anni, di Irpin, con i suoi pennarelli ha disegnato alberi spogli, «tutti brutti» perché a causa della guerra «non c’è più il verde». Sono decine i disegni della mostra “Facciamo pace?! La voce dei bambini sulla guerra”, allestita in 12 pannelli al Palazzo delle Esposizioni. Promossa dalla Comunità di Sant’Egidio, è stata ufficialmente presentata sabato 4 marzo ed è visitabile fino al 26 marzo. Una variopinta carrellata di opere realizzate dai piccoli che, in tanti Paesi, frequentano le Scuole della Pace. Divisa in varie sezioni, è la rappresentazione della guerra vista con gli occhi dei bambini.
La mostra, curata da Stella Cervogni, coordinatrice delle Scuole della Pace di Roma, si apre con “La guerra del passato” che raccoglie i lavori dei bambini realizzati dopo aver ascoltato le testimonianze di anziani che hanno vissuto la seconda guerra mondiale, letto i documenti dell’Archivio diaristico nazionale e pagine del “Diario di Anna Frank”. I pannelli de “La guerra di oggi” racchiudono i disegni fatti dai minori rimasti in Ucraina dove frequentano le Scuole della Pace di Sant’Egidio, aperte anche durante il conflitto. Con la schiettezza propria dei bambini, attraverso i loro elaborati vogliono «far capire la guerra cosa è», ha scritto Eva, 7 anni, di Kharkiv. Raccontano la pericolosità di accendere la luce, la noia delle giornate trascorse nei bunker, la corsa per mettersi al riparo durante i bombardamenti, la preoccupazione per i papà e i fratelli rimasti a combattere. La sezione “La guerra alle spalle” riunisce i disegni dei bambini africani che si trovano nei campi profughi di Goma, nella Repubblica democratica del Congo. Raccontano la fuga dal Burkina Faso, dai villaggi del Nord del Mozambico, delle scuole e delle case bruciate dai terroristi. Tra i disegni dei piccoli siriani che si trovano nei campi profughi in Grecia e in Libano spicca quello di un bambino che, utilizzando solo i colori blu e nero, ha disegnato un naufragio e in arabo e ha scritto «il 15 settembre 2015, 300 persone tra eritrei, egiziani e siriani sono stati cibo per gli squali».
E ancora, la voce dei bambini afghani accolti in Italia che hanno rappresentato la fuga da Kabul, l’aeroporto preso d’assalto, le persone che precipitano dagli aerei ai quali si erano aggrappati. «Un giorno terribile» per Rezai, di 14 anni. Accanto ai disegni le tantissime lettere indirizzate ai potenti della terra ai quali chiedono «perché non potete parlarne invece che usare la violenza?». E suggeriscono: «Andate da qualche parte a parlare e non vi alzate finché non siete d’accordo». Nella sala anche diverse installazioni come il “Vocabolario della pace” dal quale è stato depennato il termine guerra e tutte le parole ad essa connesse.
Il presidente della Comunità di Sant’Egidio Marco Impagliazzo, durante la presentazione, ha spiegato che il valore della mostra è quello di poter «ascoltare la voce dei bambini che hanno tanto da dire. Hanno un’esatta percezione e un’idea chiara di cosa sia la guerra». Dai loro disegni e dai loro testi emergono «parole molto vere e lucide» a differenza di quelle di molti adulti, ha specificato Impagliazzo, portando ad esempio il naufragio di Crotone in occasione del quale «quante parole inopportune e gravi sono state pronunciate».
La mostra è stata visitata anche da Edith Bruck, scrittrice e poetessa ungherese che nel 1944, quando aveva solo 13 anni, fu deportata nei campi di concentramento con i suoi genitori, i due fratelli e una delle sorelle. Ha raccontato, come ormai fa da oltre 62 anni, l’orrore vissuto, ripetendo più volte che non prova odio per i suoi aguzzini perché «significherebbe essere come loro. Temo moltissimo – ha detto – che i bambini che oggi vivono questa terribile guerra coltivino questo sentimento». Nell’incontro moderato da Marco Delogu, presidente dell’Azienda Speciale Palaexpo, il direttore di Tv2000 Vincenzo Morgante si è soffermato sulla comunicazione che dovrebbe essere a misura di bambino. Dai social imparano un linguaggio duro, assimilandone «le dinamiche, gli atteggiamenti, l’odio e il disprezzo». Dovrebbe quindi essere compito della comunicazione, compresi i telegiornali, «educare a un vocabolario di pace».
6 marzo 2023