Save the children: 420 milioni i bambini in aree di conflitto
Il rapporto “Stop alla guerra sui bambini”, accompagnato da una petizione contro la vendita delle armi italiane usate in Yemen dalla coalizione a guida saudita
Uno su 5. In tutto, 420 milioni di bambini vivono in aree di conflitto. Un numero in crescita di 30 milioni rispetto al 2016; raddoppiato dalla fine della guerra fredda a oggi. Sono alcuni dei dati contenuti nel rapporto “Stop alla guerra sui bambini“, presentato oggi, 15 febbraio, da Save the Children, in occasione dei suoi 100 anni. Nel 2017, si legge, sono oltre 10mila i bambini che sono rimasti uccisi o mutilati a causa di bombardamenti, mentre si stima che almeno 100mila neonati perdano la vita ogni anno per cause dirette e indirette delle guerre, come malattie e malnutrizione. Ancora, circa 4,5 milioni di bambini hanno rischiato di morire per fame nel 2018 nei dieci Paesi peggiori in conflitto: Afghanistan, Yemen, Sud Sudan, Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo, Siria, Iraq, Mali, Nigeria e Somalia. Queste le aree in cui i bambini sono stati i più colpiti dai conflitti nel 2017 e in cui le violazioni dei diritti dei minori si sono triplicate dal 2010 a oggi.
«Ogni guerra è una guerra contro i bambini, diceva la fondatrice di Save the Children Eglantyne Jebb cento anni fa e oggi è più vero che mai. Quasi 1 bambino su 5 vive in aree colpite da conflitti, il numero di bambini uccisi o mutilati è aumentato – afferma il direttore generale di Save the children Italia Valerio Neri -. Dall’uso di armi chimiche, allo stupro, ai rapimenti, ai reclutamenti forzati, i crimini di guerra continuano a crescere e a rimanere impuniti». Per Neri, «è sconvolgente che nel XXI secolo arretriamo su principi e standard morali così semplici: proteggere i bambini e i civili dovrebbe essere un imperativo, eppure ogni giorno i bambini vengono attaccati, perché i gruppi armati e le forze militari violano le leggi e i trattati internazionali – osserva -. Milioni di bambini in Yemen stanno vivendo orrori indescrivibili a causa del conflitto. Colpiti per strada, bombardati mentre sono a scuola: sono bambini e bambine a cui è negata un’infanzia. Rimasti orfani, senza più una casa, senza più i propri cari. Tutto questo è inaccettabile».
Proprio in Yemen, le bombe utilizzate dalla Coalizione a guida saudita contro obiettivi civili sono prodotte anche in Italia. Rapporti, foto e reportage realizzati in Yemen documentano che resti di ordigni esplosi in zone civili, su case e villaggi in cui erano presenti famiglie con bambini, recavano il codice A4447 che riconduce ad una fabbrica di armi in Sardegna, la RWM Italia, con sede legale a Ghedi (Brescia) e stabilimento produttivo a Domusnovas (Carbonia-Iglesias). Proprio per questo l’organizzazione ha lanciato una petizione on line per fermare immediatamente la vendita di armi italiane usate contro i bambini in Yemen. «Uccidere bambini in un conflitto è vietato dal diritto internazionale umanitario», ricordano da Save the children. Non solo: anche la legge italiana sul controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento (L.185/90) proibisce l’esportazione verso paesi che violano i diritti umani. L’Italia infatti «ripudia la guerra», recita l’articolo 11 della Costituzione, come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. «Chiediamo, quindi, che l’Italia fermi immediatamente l’esportazione di armamenti verso i Paesi responsabili delle gravi violazioni dei diritti di minori in conflitto armato e che si faccia promotrice di un’iniziativa globale per fermare questo commercio sulla pelle dei bambini in Europa e nel mondo», la prima richiesta. Al ministro degli Affari esteri Save the Children chiede di «fermare immediatamente l’esportazione, la fornitura e il trasferimento di materiali di armamento alla Coalizione saudita, armi che uccidono i bambini yemeniti e che quando anche sopravvivono, distruggono il loro futuro».
Sei, in particolare, le «gravissime violazioni» dei diritti dei bambini identificate dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite durante i conflitti. Anzitutto l’uccisione e la mutilazione: oltre 10mila i piccoli uccisi o mutilati nel 2017, di cui oltre 3mila solo in Afghanistan, la maggior parte per mine e ordigni inesplosi. Quindi il reclutamento e l’uso dei bambini soldato, fenomeno in crescita del 3% dal 2016 al 2017, con incrementi significativi in Repubblica centrafricana o nella Repubblica democratica del Congo; la violenza sessuale, particolarmente allarmante in Siria e Myanmar. E ancora: i rapimenti, con un aumento, nel 2017, del 62% dei casi rispetto all’anno precedente, per un totale di 2.556 casi, 1.600 dei quali solo in Somalia ad opera di Al Shaabab; gli attacchi a scuole e ospedali, la maggior parte in Siria e Yemen, con il risultato che in entrambi i Paesi oltre 2 milioni di bambini si vedono negato l’accesso all’istruzione; la negazione dell’accesso degli aiuti umanitari, con più di 1.500 i casi in cui è stato impedito l’accesso agli aiuti in aree di conflitto: il 50% in più rispetto all’anno precedente. Secondo l’analisi di Save the Children sulla base dei report delle Nazioni Unite, il numero di violazioni dei diritti dei minori nel 2017 è stato di 25mila, il numero più alto mai registrato prima.Dal 2010 a oggi il numero dei bambini che vivono in aree di conflitto è aumentato del 37%, a fronte però di una crescita del 174% del numero di casi di gravi violazioni verificati. Un incremento significativo, spiegano, dovuto principalmente all’acutizzarsi delle crisi in Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo, Myanmar, Sud Sudan, Siria e Yemen. I bambini sono coloro che pagano il prezzo più alto anche degli effetti indiretti dei conflitti come la fame, le infrastrutture e gli ospedali danneggiati, la mancanza di accesso alle cure mediche e ai servizi igienico-sanitari e la negazione degli aiuti umanitari. I conflitti, inoltre, coinvolgono sempre di più i centri urbani e il campo di battaglia è indefinito, interessando in prima linea case e scuole in cui vivono i più piccoli, che diventano oggetto di attacchi indiscriminati come accaduto a Mosul, in Iraq, o a Mogadiscio in Somalia. In termini assoluti, l’Asia è il luogo dove vivono più bambini in aree di conflitto, pari a 195 milioni di bambini, un dato che scende a 152 milioni in Africa. In termini percentuali, invece, è il Medio Oriente a detenere il primato, con circa il 40% dei bambini che vivono in zone di guerre, pari a 35 milioni.
15 febbraio 2019