Sentenza aborto in Usa, i vescovi: «Rimarginare le ferite»
I presuli indicano la direzione di marcia dopo la decisione della Corte Suprema che ha ribaltato la sentenza sul diritto all’interruzione volontaria di gravidanza
«Ora è il momento di iniziare il lavoro di costruire un’America post-Roe. È un tempo per curare le ferite e riparare le divisioni sociali». I vescovi americani indicano la direzione di marcia dopo la decisione della Corte Suprema che ieri, 24 giugno, ha ribaltato Roe v. Wade, la sentenza storica che, a partire dal 1973, ha stabilito il diritto all’aborto negli Stati Uniti. L’arcivescovo José H. Gomez di Los Angeles, presidente della Conferenza episcopale americana, e l’arcivescovo William E. Lori, presidente del Comitato pro-life, hanno definito la giornata «storica», sottolineando che «per quasi cinquant’anni, l’America ha applicato una legge ingiusta che ha permesso ad alcuni di decidere se altri possono vivere o morire: una politica che ha provocato la morte di decine di milioni di bambini».
Di parere diverso è invece il presidente americano Joe Biden. «È un giorno triste per la corte e per il Paese», ha detto nel discorso tenuto alla Casa Bianca, poche ore dopo la sentenza, parlando di «tragico errore» della Corte, che con la sua decisione mette a rischio «la salute e la vita delle donne in questa nazione». Il presidente ha imputato il rovesciamento della sentenza al suo predecessore, chiamandolo direttamente in causa. «Sono stati tre giudici, nominati da un presidente, Donald Trump, il fulcro della decisione odierna di ribaltare la bilancia della giustizia ed eliminare un diritto fondamentale per le donne in questo Paese», ha proseguito Biden, che ha chiesto agli elettori di votare, in novembre, candidati pro-choice, perché solo il Congresso può codificare una norma sull’aborto.
La sentenza di venerdì risolve il caso Dobbs versus Jackson Women’s Health Organization, dove si contestava la legge del Mississippi che consente l’aborto entro 15 settimane e non entro 24 come consente la sentenza Roe. I giudici con un voto favorevole di 6 a 3 hanno ammesso la legge del Mississippi spiegando che «la Costituzione non conferisce il diritto all’aborto». Nel parere scritto dal giudice della Corte, Samuel Alito, si legge che «l’aborto presenta una profonda questione morale» e «la Costituzione non vieta ai cittadini di ogni Stato di regolamentare o vietare l’aborto. Roe e Casey si sono arrogati quell’autorità. Ora annulliamo tali decisioni e restituiamo tale autorità al popolo e ai suoi rappresentanti eletti».
Il dopo Roe affida ai singoli Stati di legiferare sull’interruzione di gravidanza e porterà ad un mosaico di leggi statali, con 13 Stati che, a partire da ieri, hanno già attivato leggi restrittive e divieti, che non prevedono la criminalizzazione delle donne ma comportano severe condanne penali per medici e cliniche abortiste. E se i vescovi chiedono «un momento di riflessione ragionata e dialogo civile per costruire una società e un’economia che sostengano i matrimoni, le famiglie e le donne» e il giurista Carter Snead, direttore del de Nicola Center for Ethics and Culture dell’università di Notre Dame, sottolinea che si tratta di «una vittoria per l’umanità, non per repubblicani o democratici», le manifestazioni di piazza pro-life e pro-choice si sono susseguite per tutta la giornata, a sottolineare un Paese che sul tema resta estremamente diviso e polarizzato.
Una prova è il sondaggio del Pew Research Center che rileva come per il 61% degli americani l’aborto dovrebbe essere legale nella maggior parte o in tutti i casi, mentre il 74% degli evangelici bianchi afferma che l’aborto dovrebbe essere illegale nella maggior parte o in tutti i casi. Pochi gli americani che chiedono un bando completo. All’interno della Corte Suprema persino il presidente Roberts, che ha votato a favore del ribaltamento, ha spiegato che non avrebbe voluto che fosse avvenuto in questo modo. «L’opinione pubblica statunitense è rimasta profondamente divisa sull’aborto per decenni ed entrambi i partiti politici sono diventati esperti nello sfruttare quella divisione per fini partigiani», ha commentato il periodico dei gesuiti America, chiedendo che il movimento pro-life si impegni a «rendere giustizia sia alle donne che alla vita dei nascituri», senza ignorare le une o gli altri.
L’arcivescovo William Lori, presidente della Comitato pro-life della conferenza episcopale Usa ha riconosciuto l’impegno di mezzo secolo di milioni di americani per contrastare la sentenza Roe e ha spiegato che «non ci siamo semplicemente opposti all’aborto ma abbiamo lavorato per la causa della vita fornendo servizi: servizi medici, centri per la gravidanza pro-vita, servizi educativi, servizi di beneficenza, servizi di adozione». Lori ha sottolineato che la decisione della Corte «ci aiuterà a comunicare e vivere più efficacemente una visione bella della vita umana». Ed è questo quello che intende fare Tanya Britton, presidente del movimento pro-life del Mississippi. Tanya aveva 19 anni quando abortì nel segreto e per anni si è rifugiata nella droga per dimenticare, fino a quando una conversione l’ha convinta a lavorare per la causa pro-life, distribuendo volantini davanti alle cliniche abortiste, organizzando preghiere, parlando con decine di donne che sono tornate indietro dalla loro decisione. Quando ha saputo della sentenza ha pianto e ringraziato Dio, consapevole che il lavoro non è finito e che ora c’è da costruire il post Roe. (Riccardo Benotti)
25 giugno 2022