Vincenzo Paglia: la dignità della vita «si chiama “noi”»

Il presidente della Pontificia Accademia per la vita presenta il libro “Sorella morte”. «L’esistenza è tenersi per mano, dalla nascita alla morte»

Il presidente della Pontificia Accademia per la vita presenta il libro “Sorella morte”. «L’esistenza – osserva – è tenersi per mano, dalla nascita alla morte»

Vivere e morire dignitosamente. Un tema che oggi si riduce molto spesso, in modo apparentemente semplicistico, a dire sì o no all’eutanasia. Il problema è che nella società contemporanea, che ha voluto “liberalizzare” concetti e comportamenti di ogni tipo, la parola morte è il nuovo tabù, uno scandalo da accantonare. Semplicemente non se ne parla. È proprio questo il filo conduttore del nuovo libro dell’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la vita, dal titolo eloquente: “Sorella morte. La dignità del vivere e del morire”. Il volume è stato presentato dall’autore ieri sera, lunedì 24 ottobre, all’Istituto romano San Michele insieme al neurochirurgo di fama mondiale Giulio Maira, che, tra le altre cose, ha certificato il miracolo che ha portato alla canonizzazione di san Giovanni Paolo II. Un testo che, come ha raccontato lo stesso monsignor Paglia, secondo Roberto Benigni, che lo ha incontrato pochi giorni fa, ha un titolo sbagliato: «Perché è un libro sulla vita, non sulla morte».

Monsignore, lei ha paura di morire?
Sì. Mi dirà: ma come, lei credente… Guardi, anche Gesù aveva paura di morire. E i discepoli, testardi, erano un po’ come la società contemporanea: volevano rimuovere il pensiero della morte. Mi sono accorto che in mezzo al silenzio che circonda questo argomento, di fronte alla povertà di parole, è indispensabile riprendere a parlarne. La morte non è cattolica, è di tutti. E chiede di essere accompagnata. La società oggi si azzarda a proporre l’eutanasia per rimuovere il problema. È una crudeltà, tra l’altro contraddittoria nel termine stesso. Occorre contrastare una cultura che non solo vuole anticipare ma eliminare la questione.

Cosa vuol dire vivere e morire dignitosamente?
Il punto è proprio quello: capire cos’è la dignità della persona. La vita non è “giovanilismo”, non è la salute, non è quando non hai problemi. La vita è degna quando siamo vicini gli uni agli altri. La dignità si chiama “noi”. La vita è tenersi per mano, dalla nascita, quando veniamo accolti tra le braccia di qualcuno, alla morte. Per questo la solitudine è l’inferno: l’eutanasia è il peccato cruciale della nostra società. Dio è il primo che si scandalizza della morte. Non l’ha concepita lui. È venuta dopo: è il nemico e Dio la combatte.

Eccellenza, lei ha detto che ha usato un linguaggio non clericale perché vuole che lo comprendano anche «quelli che non sono della nostra parrocchietta». Ma come si fa a spiegare che l’eutanasia è una sconfitta a un non credente che rivendica il diritto alla scelta di decidere quando e come morire?
Il problema è che l’individualismo contemporaneo sta minando alla radice il senso stesso della vita, che per sua natura è comunione e non solitudine. Ecco perché si afferma quella che appunto è una sconfitta: significa lavorare per indebolire la comunione e favorire una triste solitudine. Non a caso una battuta popolare dice che è meglio morire che restare soli. In tal senso questa cultura nichilista interpella anche noi cristiani a ritrovare un linguaggio che aiuti ad avere una nuova consapevolezza. È un grande servizio che una Chiesa in uscita deve fare al mondo che ha bisogno della parola del Vangelo.

L’autorizzazione dell’eutanasia sui minori in Belgio; la proposta in Olanda di estenderla agli adulti sani che vogliano comunque porre fine alla propria vita; le recenti dichiarazioni di un personaggio come il premio Nobel Desmond Tutu. È in atto una campagna mondiale a favore della “dolce morte”?
La cultura dell’eutanasia vive anch’essa il contagio della globalizzazione e non è estranea all’affermarsi di una cultura materialistica e di capitalismo selvaggio che tende a scartare chiunque è debole e quindi rappresenta un peso per la società. Potremmo dire, con Papa Francesco, che eutanasia e cultura dello scarto vanno a braccetto.

25 ottobre 2016