Zuppi: «Ci vuole un intero vocabolario per le mille sfumature del bene e dell’amore»
Il presidente Cei in Campidoglio al convegno “A 60 anni dalla Pacem in terris”, prima tappa di un cammino che prosegue con la Marcia della pace, il 31 dicembre. Dal Medio Oriente all’Ucraina, «la Chiesa mantiene i riflettori accesi su tutte le crisi». Le testimonianze
«Bisogna fermare questa violenza che miete tante vittime. I dati parlano di 4.500 minori uccisi e questo impone che la violenza si fermi». Così il cardinale presidente della Cei Matteo Zuppi sulla guerra in Medio Oriente, a margine del convegno “A 60 anni dalla Pacem in terris: non c’è pace senza perdono”, svoltosi ieri sera, 16 novembre, nella Sala della Protomoteca in Campidoglio. La testimonianza del cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme, collegato mercoledì 15 durante i lavori dell’Assemblea generale straordinaria dei vescovi ad Assisi, ha trasmesso tutta «la sofferenza dei cristiani, dei cattolici, della popolazione di Gaza», ha aggiunto Zuppi. Facendo riferimento alla “Dichiarazione per la pace” approvata dall’Assemblea nella quale si chiede il cessate il fuoco e la liberazione degli ostaggi, il porporato ha auspicato che «vengano prese sul serio le parole del Papa».
Dal Medio Oriente il discorso si è spostato sulla guerra in Ucraina e parlando con i giornalisti il presidente della Cei ha rimarcato che «la Chiesa mantiene i riflettori sempre accesi su tutte le crisi. Continua il lavoro dei nunzi per i bambini, la liberazione dei prigionieri e degli ostaggi. Cercheremo tutti gli spazi possibili per spingere per la pace anche in Ucraina». La Pacem in terris, ultima enciclica di Papa Giovanni XXIII, pubblicata nel 1963, univa «il dolore della prima guerra mondiale» che Roncalli aveva vissuto come cappellano militare e «la consapevolezza della seconda», scoppiata quando era nunzio apostolico. «Dopo 60 anni – ha affermato Zuppi – ci ritroviamo ancora che non abbiamo imparato niente. Continuiamo a usare la guerra come metodo per risolvere i conflitti».
Durante i lavori del convegno, esprimendo preoccupazione per «la cultura del riarmo, cultura arrendevole verso la logica della guerra» ha aggiunto che l’enciclica «porta bene i suoi 60 anni perché l’abbiamo usata poco, l’abbiamo messa in un cassetto». Ha quindi proposto tre percorsi di pace da realizzare che si ispirano al documento: la pace come alfabeto della vita; la pace sopra la teoria della guerra giusta; costruire istituzioni di pace. «Ci vuole un intero vocabolario per far emergere le mille sfumature del bene e dell’amore – ha spiegato -. La pace racchiude esperienze di profonda umanità come il perdono, la fraternità, la cura, l’amore, la solidarietà, la cooperazione, l’amicizia, la carità, il servizio, tutti contrari alla guerra». ha quindi invitato a «scrivere “game over” sopra teoria della guerra giusta perché c’è confusione tra guerra giusta e diritto di difesa».
Promosso dalla Caritas italiana con l’Ufficio nazionale per la pastorale sociale e del lavoro, l’incontro ha avviato «un cammino in più tappe – ha detto don Bruno Bignami, direttore dell’Ufficio Cei -. Ora è necessario mobilitarci tutti per la pace». Tra i prossimi appuntamenti ha ricordato la 56ª Marcia nazionale per la pace che si terrà a Gorizia il 31 dicembre e l’incontro del 13 gennaio 2024 a Bozzolo, Mantova, sulle orme di don Primo Mazzolari e don Lorenzo Milani. Moderata dalla giornalista di Tv2000 Gabriella Facondo, la tavola rotonda è proseguita con le testimonianze di chi si è fatto missionario di pace. Tra questi il docente universitario Giovanni Bachelet, figlio del giurista Vittorio ucciso dalle Brigate Rosse il 12 febbraio 1980. Ai funerali del padre chiese preghiere anche per gli assassini. «Voleva essere un compendio del Vangelo che ci è stato insegnato – ha rimarcato -. I cristiani non nutrono sentimenti negativi, la vedetta non si giustifica mai». Silvia De Munari, volontaria di “Operazione Colomba” in Colombia, ha parlato delle comunità impegnate per la pace in un Paese piegato da una guerra civile che si protrae da 60 anni. Laura Munaro, referente per l’Italia del progetto Tent of nations, è stata la voce del fondatore, il palestinese Daoud Nassar, assente per timore di ritorsioni. Tent of nations è la fattoria di Nassar, impegnato in attività educative. Shira Shalom, nata durante la guerra in Abkhazia, ha raccontato l’esperienza di Rondine Cittadella della Pace.
17 novembre 2023