Amalia Grè in concerto all’Auditorium

Il 17 aprile, per la prima volta dopo il recente passaggio sanremese, l’artista pugliese porta il suo jazz nella Capitale di Concita De Simone

Interprete originale, voce e gestualità da club in bianco e nero, Amalia Grè viaggia musicalmente tra archi al sapore di jazz di una volta e contaminazioni internazionali moderne. Sarà possibile ascoltarla martedì prossimo, 17 aprile, alla Sala Sinopoli dell’Auditorium Parco della Musica di Roma, nel suo primo concerto romano dopo il recente esordio sanremese cui è approdata direttamente nella categoria dei big grazie ai suoi trascorsi newyorkesi.

Amalia Grè (nome d’arte di Amalia Grezio), raffinata quarantenne, è quel che si dice un’artista a tutto tondo: cantante, autrice, disegnatrice (sue le copertine dei cd, quasi delle visioni), stilista, computer designer, giramondo. Da Ostini all’Accademia delle Belle Arti di Perugia per un diploma in Scenografia Teatrale, un passaggio a Roma dove studia canto e si perfeziona nella tecnica dell’improvvisazione e poi l’America, dove incrocia sulla strada illustri colleghi come Betty Carter e Harbie Hancock e studia, per sei anni, anche recitazione, oltre ad esporre il suo lavoro come computer artist in alcune note gallerie. Ed ecco il ritorno in Italia, dove, nel frattempo, è diventata il nuovo simbolo delle voci jazz italiane. Due album all’attivo, il primo nel 2003, supera ogni aspettativa vendendo oltre 40.000 copie e la fa assurgere tra le grandi rivelazioni del panorama musicale attuale.

A febbraio 2006 esce il suo secondo album dal titolo “Per te”, un album d’amore e di passione per la musica, che viene ripubblicato dopo la partecipazione al Festival di Sanremo 2007 con la canzone “Amami per sempre”. Amalia Grè sembra sempre distaccata da tutto quello che le sta intorno. Tutto quello che ha da dire è già nelle sue canzoni.

Canzoni fatte di astrazione, elevazione e ricordi, interpretate con la sua voce perennemente innamorata delle sfumature. Suoni morbidi per un pop- jazz raffinato e un po’nostalgico. A New York, crogiuolo di razze, lingue e suoni, ha imparato a sperimentare e a fare i «ghirigori jazzistici» come li definisce lei stessa.

Forte della sua band multietnica, circondata da musicisti americani, giapponesi, scandinavi, asiatici e italiani, Amalia Grè è una che punta davvero alla qualità, che sa stare sul palco riempiendolo solo dei suoi gesti, senza cercare i riflettori.

«Oggi rispecchio quello che ho vissuto da piccola», ci dichiara sommessa e decisa al tempo stesso. «La mia meridionalità è garbata, fatta di bellezza, di luoghi. Il mio mare, i profumi della mia terra, si sentono chiaramente nella musica che faccio. Certo, poi ho una band multietnica, dove siamo tutti allo stesso livello e le idee vengono da tutti. Sarei persa senza i loro spunti. Ci piace il fatto di essere diversi. Lo stupore è importante per la creatività». E in “Per te” c’è anche “ Il giardino multirazziale”, inno all’equità perché «la convivenza fra le razze diverse è uno dei temi più attuali. E’ un invito ad autoeducarsi a vivere in modo generoso in una società multirazziale e multietnica, i fiori qui rappresentano tante persone, culture, razze, religioni su cui indistintamente, la pioggia cade ed è uguale per tutti».

L’artista pugliese si rivela dunque anche umile: «Basta con gli snobismi, per noi l’attenzione è fondamentale e la mia voce è di tutti. Sono arrivata a questa conclusione dopo vent’anni di carriera. Vorrei che arrivasse a tutti il suono della mia voce, Io ho avuto un dono da mia madre, cioè il timbro della mia voce, al di là della tecnica che è sempre perfezionabile».

Amalia Grè non si considera né pop né jazz: «Nell’album ho scelto di far suonare due batteristi, una newyorkese jazz e un altro hit pop e la fusione dei due suoni ha portato a una nuova freschezza. Non è né l’uno né l’altro, è una ricerca».

Ma certo, la sua passione per il jazz è predominante: «All’inizio ero una vera purista. Adesso ho uno stile più personale, non seguo i canoni della tradizione che sono magari più loro che miei. Io non sono afroamericana, né americana; provengo dalla Puglia con i sapori mediterranei, i colori nostri, ed anche la nostra musicalità. La musica jazz mi rilassa molto. E’ antichissima ma viene assaporata solo oggi, soprattutto in Italia. Prima era più di èlite. Il jazz è quasi una cura per me. La musica, in generale, cura. Non penso ci sia bisogno di urlare per dire qualcosa. L’ho sperimentato in prima persona. L’arte ha un valore terapeutico e noi artisti abbiamo la responsabilità di trasmettere qualcosa con il nostro lavoro».

13 aprile 2007

Potrebbe piacerti anche