Il falso fa notizia

di Angelo Zema

Ieri abbiamo pianto con tutta l’Italia la morte di un uomo che ha fatto la storia della televisione italiana, Mike Bongiorno. In molti, tra i personaggi dello spettacolo, l’hanno ricordato come un uomo “vero”. Abbiamo condiviso questo aggettivo, per la schiettezza con cui il “Mike nazionale” si presentava davanti ai teleschermi, parlando benevolmente anche di chi lo criticava (basti rivedere una intervista di due anni fa in cui gli si ricordava tra l’altro di quando Umberto Eco l’aveva indicato come simbolo della mediocrità).

Ci colpisce, questo aggettivo, soprattutto per il clima mediatico in cui siamo immersi, dove la verità sembra qualcosa d’antico, di raro, di desueto. È in atto la gara a chi strilla di più. Una stampa “da tempo di guerra”, ha detto il critico televisivo Aldo Grasso in un’intervista ad Avvenire, sottolineando il trionfo del pettegolezzo che domina sui media. Anche l’impaginazione dei telegiornali ne è un segnale a nostro avviso inquietante. Le notizie “vere” sembrano scomparse: gli esteri, per dire solo un aspetto, sono ridotti al minimo, e già prima lo spazio assegnato era ben scarso.

Ma ci preoccupa pure il moltiplicarsi del “falso”, e neanche d’autore, come magari accade nel mondo dell’arte. I casi di questi giorni ne sono una conferma. Il falso, ahimè, fa notizia. Costringe a smentire. E disorienta, confonde. «Il falso è il racconto mascherato dei fatti – cantava Giorgio Gaber in una delle sue ultime canzoni –, il falso è misterioso e assai più oscuro se è mescolato insieme a un po’ di vero/il falso è un trucco/un trucco stupendo per non farci capire questo nostro mondo/questo strano mondo/questo assurdo mondo». E, verrebbe da dire ancora con lui, guardando ad un’altra canzone di quell’ultimo straordinario cd, venato di un pessimismo apparentemente irrimediabile, «c’è un’aria, un’aria, ma un’aria che manca l’aria». Un’informazione fatta così finisce infatti anche per soffocare. Sembra un goffo tentativo di calarsi nell’ambiente orwelliano di “1984”, dove il passato veniva riscritto modificando gli articoli già usciti. Qui, tra articoli strillati e taroccati, si cerca di stravolgere il presente per condizionare il futuro, guardando meramente a far salire le vendite o l’audience.

Il presidente dell’Ordine dei giornalisti, Lorenzo Del Boca, ha indicato «un passo indietro» e «una maggiore sobrietà di atteggiamenti» come gli unici rimedi per «recuperare quel rispetto che è indispensabile anche nell’affrontarsi vigorosamente in polemiche senza peli sulla lingua». Giunti al punto in cui siamo, è forse azzardato tendere all’ottimismo. Anche Grasso ritiene sia «difficile invocare il famoso passo indietro, se tutti o quasi scrivono con la bava alla bocca». Speriamo che criteri cardine come la ricerca della verità, la verifica delle fonti, il rispetto delle persone, della dignità e del decoro professionale non restino appannaggio solo di una riserva indiana del giornalismo.

9 settembre 2009

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