Il Papa: «Una Chiesa madre per una società di orfani »
All’apertura del Convegno diocesano in Aula Paolo VI, l’invito all’accoglienza dei giovani e a «vivere la compassione di Gesù». Il pensiero per i parroci: «La Chiesa italiana forte grazie a loro» di Angelo Zema
Genitori che passano molto tempo in automobile per il lavoro, padri che non hanno tempo di giocare con i propri figli, famiglie che riempiono la vita di cose «che poi diventano idoli» . Vita di città, di una metropoli come Roma, nelle parole del Papa all’apertura del Convegno diocesano 2014. Problemi che ha conosciuto bene da arcivescovo di Buenos Aires, stando accanto alla gente, e che lo portano a parlare di una «società di orfani».
«I giovani soffrono di “orfananza” di una speranza sicura, di un maestro di cui fidarsi, di ideali che riscaldano il cuore». Ma anche di mancanza di lavoro, come fa pensare quel 40% di giovani disoccupati, considerati «materiale di scarto». È «la società che rinnega i suoi figli, è questa cultura che lascia orfani». Sono «orfani di gratuità», rimarca Francesco. Da qui la necessità di «una Chiesa che sappia essere madre, che sappia accogliere sempre tutti con cuore». Ai quasi diecimila tra sacerdoti, laici, religiose che lunedì 16 giugno gremiscono l’Aula Paolo VI, confida: «Sogno una Chiesa che viva la compassione di Gesù, con un cuore senza confini e la dolcezza del suo sguardo».
Sono le indicazioni del vescovo di Roma per una «Chiesa in uscita» chiamata a interrogarsi sul tema dell’iniziazione cristiana, con una due giorni che questa sera, martedì 17 giugno, prevede tredici laboratori di studio in tre sedi al Laterano e che avrà il suo epilogo a settembre con gli orientamenti pastorali del cardinale vicario Vallini per l’anno successivo. L’incontro dell’Aula Paolo VI, afferma il cardinale nel saluto al Santo Padre, è «una tappa importante nel cammino pastorale della Chiesa di Roma», a cui la comunità ecclesiale arriva dopo aver messo a fuoco lo spirito e i contenuti della Evangelii gudium, e don Gianpiero Palmieri, parroco di San Frumenzio che con due catechisti presenta al Papa luci e ombre della catechesi a Roma, definisce «la Evangelii nuntiandi degli anni Duemila». «Il testamento pastorale del grande Paolo VI», osserva il Papa, che ne parla come di un «cantiere per la pastorale, che non è superato».
La riflessione di Francesco, per buona parte “a braccio”, muove dalle difficoltà dalle famiglie a Roma, apprese attraverso le visite alle parrocchie o le lettere ricevute. Manca il tempo, si avverte un peso, la domanda di come aiutare i ragazzi a dare un senso alla loro vita. I ragazzi sono «senza memoria di famiglia, senza affetto d’oggi, senza quella gratuità che è aprire il cuore a Dio e alla sua grazia». La sfida per la Chiesa è «diventare madre, essere feconda». Non «zitella», espressione cui Bergoglio ci ha abituati quando vuol mettere in guardia dalla sterilità dell’impegno cristiano. «I piani pastorali sono un aiuto alla maternità della Chiesa. L’identità della Chiesa è evangelizzare, generare figli. Senza voler fare proseliti, perché, come ha detto Benedetto XVI, la Chiesa cresce per attrazione». E se è vero che la Chiesa è «un po’ invecchiata» anche a causa dell’individualismo, della «fuga dalla comunità», è importante per il Papa «recuperare la memoria della Chiesa nella pazienza di Dio. Ci manca il senso della storia. Siamo schiavi della congiuntura».
Accanto alla memoria servono l’accoglienza e la tenerezza, parole chiave per quella Chiesa dalle porte aperte che Francesco invoca a ogni occasione. «Accogliere sempre tutti con cuore grande, partecipando ai problemi e alle difficoltà che i ragazzi incontrano nella loro vita. Diventiamo audaci nell’esplorare nuove modalità con cui le nostre comunità siano case con la porta aperta. E all’accoglienza segua una chiara proposta di fede».
Il pensiero finale è per i parroci. «Fare il parroco non è facile, è più facile fare il vescovo, noi – scherza – ci rifugiamo dietro il “Sua Eccellenza”». E ribadisce: «La Chiesa italiana è forte grazie ai parroci». A tutti rivolge un incoraggiamento per l’impegno che li attende. Con un «grazie» al Coro della diocesi di Roma, che ha animato la serata e che quest’anno festeggia il trentennale.
17 giugno 2014