In corsa per la pace
Si è conclusa sabato 28 la maratona-pellegrinaggio che ha coinvolto anche ebrei e musulmani di Mariaelena Finessi
Là dove le targhe gialle delle automobili israeliane lasciano il posto alle targhe bianche e verdi palestinesi, un mostro di cemento alto 8 metri e lungo, ad oggi, circa 600 chilometri, divide fisicamente due popoli. «Il muro della vergogna», come lo ha definito il vescovo Josef Clemens, segretario del pontificio Consiglio per i laici, in occasione della maratona-pellegrinaggio da lui presieduta, lo scorso 25 aprile.
Per la quarta volta dal 2004, grazie all’Opera romana pellegrinaggi (Orp), atleti italiani, israeliani e palestinesi lo hanno varcato, correndo insieme per la pace lungo le strade della Terra Santa. Dieci chilometri, da Betlemme a Gerusalemme, in onore del compianto Giovanni Paolo II.
Sorto ufficialmente per tutelare la libertà di entrambi i popoli, israeliano e palestinese, di fatto dal 1999 questo muro separa vecchi amici, madri e figli. «Dicono che è stato costruito per tutelare la nostra libertà; in realtà, israeliani e palestinesi, siamo tutti prigionieri di questa libertà». Così mormora suor Ginetta, mentre con i bambini sordomuti dell’istituto «Effetà» di Betlemme aspetta il via alla corsa.
Intanto l’aria comincia a riscaldarsi, un po’ per l’emozione, un po’ perché in questo angolo di mondo i raggi del sole sanno colpire più forte. Alla partenza, dopo i saluti delle autorità, la massa di atleti – 50 palestinesi e 80 italiani – comincia a dipanarsi lungo la strada che conduce alla Città santa. Al check point, incastonato in un muro imbrattato dai murales, altri 50 sportivi israeliani si uniscono al gruppo. In totale 180 persone, 60 anni il più anziano, 5 il più piccolo. Per questa maratona, voluta dall’Orp e dal Centro sportivo italiano (Csi), ancora una volta hanno fatto da testimonial Andrea Zorzi e Roberto Masciarelli, vecchie glorie della pallavolo. La novità, invece, è nella partecipazione di alcuni rappresentanti delle squadre iscritte alla «Clericus Cup».
L’evento si svolge il giorno dopo in cui ricorre, almeno secondo il calendario ebraico, la festività per la nascita dello Stato d’Israele e due giorni dopo che l’Unesco ha annunciato di aver adottato una decisione storica che riafferma il valore universale della «Old City» di Gerusalemme, sottolineando come per la prima volta israeliani e palestinesi abbiano lavorato insieme per proteggere il sito, patrimonio dell’umanità secondo la convenzione delle Nazioni unite del 1972.
Poche le cose che gli sportivi e i pellegrini (atleti per un giorno) oggi si portano dietro: la bandiera olimpica, la fiaccola benedetta dal Santo Padre e il desiderio di scrivere una nuova pagina della pace. Il bene più prezioso che manca a questi popoli. «Sappiamo tutti – ha detto il vescovo Clemens – che proprio qui in Terra Santa il messaggio della pace ha delle forti implicazioni politiche e sociali». Non si può però dimenticare che «la vera e duratura pace è anzitutto frutto del profondo rispetto della dignità dell’altro», e che essa non è «un prodotto automatico del benessere economico e sociale». A essa, invece, «si arriva solo rispettando l’uguale dignità dell’altro, uomo e donna». In fondo «il nemico più grande è l’uomo stesso, quando dimentica di essere creatura e non “creatore” di se stesso. In altre parole quando rifiuta Dio come origine e scopo della sua vita, o dimentica di dargli Gloria nella preghiera e nella vita di tutti i giorni».
Lungo il percorso intanto, fiancheggiato da una rigogliosa campagna «verde come non lo è mai stata finora – dice un cristiano che mastica poco la nostra lingua -, grazie alla pioggia degli ultimi mesi», qualcuno guarda il gruppo con curiosità, molti salutano e al check point accade qualcosa di straordinario. Per la prima volta un militare israeliano – obbligato da sempre al rigore – rompe le regole e alza la fiaccola al cielo. «Un “miracolo”», dicono in tanti. Con gli israeliani il fiume umano s’ingrossa. Sette chilometri e il suono festoso delle cornamuse accoglie finalmente gli sportivi alle porte di Gerusalemme.
«Ci auguriamo – monsignor Liberio Andreatta, amministratore delegato dell’Orp parla mentre la scalinata ai piedi del Tempio è stracolma dei novelli sportivi in cerca di refrigerio – che un giorno anche gli amici israeliani possano partire insieme a noi». Rendendo onore al Servo di Dio Giovanni Paolo II, «che ci ha dato un segnale di speranza venendo qui», monsignor Andreatta lancia il suo appello alla pace «affinché il cuore dei pellegrini e le gambe degli sportivi possano arrivare là dove la diplomazia non è riuscita». Il vescovo Clemens legge poi il messaggio di Benedetto XVI, chiedendo che ne venga trasmessa anche una traduzione in ebraico: «Sua Santità, mentre auspica – scrive, a nome del Pontefice, il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato vaticano – che questa manifestazione possa favorire un proficuo dialogo tra culture e religioni diverse, si unisce idealmente ai pellegrini e ai partecipanti assicurando il suo orante ricordo al Signore perché la Terra Santa, il Medio Oriente e il mondo intero possano conoscere tempi di vera e stabile pace».
30 aprile 2007