L’economia della solidarietà, vera risposta alla crisi

L’uscita dal tunnel non è vicina, ma se lavoriamo per un nuovo modello di sviluppo non possiamo che immaginarlo etico e solidale. Lo stile di vita? Un ritorno alla sobrietà non può che farci bene di Fabio Salviato

Siamo arrivati oramai al quarto anno consecutivo di crisi economica: si tratta, come ben sappiamo, di una crisi profonda, e ben diversa dalle precedenti. Oramai anche alcuni autorevoli economisti cominciano a capire che per uscire dal tunnel e tornare a vedere la luce, cioè per vedere una ripresa, quasi sicuramente sarà importante contribuire alla costruzione di una nuova economia, dove rimettere al centro la persona e cercare di dare delle risposte ai bisogni di miliardi di persone che vivono sul nostro pianeta e che si trovano in difficoltà.

Purtroppo, le notizie di questi giorni non incoraggiano: la gestione del denaro pubblico da parte delle amministrazioni è spesso regolata dal criterio dell’interesse personale al posto dell’interesse comune. L’amministratore locale o il parlamentare dovrebbero essere orientati allo sviluppo del bene comune; tutto questo non avviene, e ciò è soprattutto un indicatore di una cultura sbagliata, ma anche di una prassi oramai consolidata che “tanto, non si riesce a cambiare”.

Dove sono finiti i sogni di tante generazioni, di tanti ragazzi più o meno giovani, di lavorare per un mondo migliore, spesso dedicandosi a tempo pieno ai settori della cooperazione sociale o internazionale? Proprio in questi giorni mi rendo conto che manca l’attenzione verso l’altro, che può essere anche la persona che mi sta accanto, manca l’interesse per un futuro migliore, e soprattutto le fasce più giovani faticano a solamente pronunciare la parola “speranza”.

Mi rifiuto però di pensare che non ci possa essere un futuro, o meglio che non si possa lavorare per un futuro migliore! Fortunatamente ci sono esperienze in Italia e nel mondo che testimoniano personalmente che si è “in cammino” verso un mondo diverso. E quindi sollecito tutti i lettori a rimboccarsi le maniche e diventare soggetti attivi e propositivi.

È vero, l’uscita dal tunnel non è vicina, ma cominciamo a partire da noi stessi a lavorare per costruire proposte concrete. Spesso mi ritornano in mente alcuni episodi della mia adolescenza: se parliamo di crisi, quella del 1974 è stata molto dura. Il prezzo del petrolio è aumentato in un solo anno di 4 volte, le industrie si sono trovate impreparate, e molte hanno chiuso. Ricordate le prime domeniche senza auto? In un primo momento sembrava quasi uno shock, ma poi molte persone hanno riscoperto le passeggiate, le biciclette.

Quest’anno in Italia per la prima volta da 40 anni sono state vendute più biciclette che automobili, molti hanno interpretato questa notizia come un brutto segno. Io, al contrario, credo che un ritorno alla sobrietà non possa che farci del bene. Anche allora la disoccupazione rappresentava un fattore di grande criticità, ricorderò sempre come è stato superato questo problema da due miei vicini di casa.

Uno di loro faceva l’operaio, l’altro il cameriere. L’operaio improvvisamente perse il posto di lavoro e doveva sostenere una famiglia con 2 figli, e pagare un affitto. In pochi giorni l’altra famiglia si mobilitò e presero una decisione che oggi sembrerebbe difficile, ma che all’epoca era considerata una cosa quasi naturale. Il cameriere condivise regolarmente per un bel periodo il suo stipendio con la famiglia dell’operaio. Solidarietà pura e grande riconoscenza.

La domanda quindi è: cosa potrebbe fare oggi la società civile? Potrebbe, a livello di parrocchie e di quartieri, organizzarsi e gestire fondi di solidarietà capaci di permettere a milioni di famiglie che oggi si trovano in difficoltà, di poter ricevere un contributo, un aiuto – non solamente economico – per uscire da una fase di crisi?

L’esempio dei due vicini fu una proposta concreta, che mi colpì e mi lasciò impresso in maniera indelebile il fatto che la solidarietà è una cosa seria e che non può essere cancellata dal vocabolario dell’economia. Se quindi lavoriamo per una nuova economia, non possiamo che immaginarla etica e solidale.

9 ottobre 2012

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